lunedì 28 novembre 2016

Le ragioni del Sì al referendum

In vista del referendum costituzionale del 4 dicembre amplissimo è stato il dibattito, ma nella vastità di argomenti e premesse che sono state sollevate da ambo le parti, sostenitori del NO e del SI, a mia modesta opinione è cruciale per il nostro Paese la vittoria del SI e il definitivo passaggio della riforma.
Prima di elencare le ragioni che mi inducono a ponderare questa scelta vale la pena sfatare alcuni miti.

A un Parlamento eletto con legge incostituzionale (la legge Calderoli) gli è davvero impedita la modifica della Costituzione? Assolutamente no. È vero, il porcellum è stato sanzionato dalla Consulta, ma gli stessi giudici hanno provveduto a specificare nella sentenza 1/2014 come la stessa pronuncia di incostituzionalità avrebbe prodotto "i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale", ponendo un generale principio di continuità dello Stato, di necessarietà dell'organo e che in nessun modo un Parlamento può "cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare".

La riforma è stata voluta dal Governo e non dal Parlamento? Anche qui, assolutamente no. Le discussioni parlamentari sono state molteplici e protrattesi per due anni, con tre passaggi, sei approvazioni e un voto finale con percentuale superiore al 60%.

Ma veniamo alle ragioni.



La prima delle ragioni riguarda sicuramente il superamento del bicameralismo paritario. Le nostre due camere, Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, hanno i medesimi poteri e funzioni, in ragione di molteplici compromessi tra le forze politiche in seno di Assemblea Costituente. In sede di redazione della Carta, difatti, le sinistre optavano ad esempio per il monocameralismo, in virtù di un principio per cui è unica la sovranità e unica dovrebbe essere la sua rappresentanza istituzionale; democristiani e liberali pensavano ad un Senato di rappresentanza di categorie sociali (economiche, culturali...); mentre repubblicani e laici volevano una Camera che rappresentasse le Regioni italiane. Al momento della scrittura della Costituzione emerse quindi, più che una idea di organicità e omogeneità, un progetto di compromesso tra partiti. E di questo ne risentiamo tutt'ora. Quando la Camera approva un testo e questo passa al Senato, qualsivoglia modifica (anche minima) da questo effettuata, determina un nuovo passaggio del testo al primo ramo e così via finché una delle due camere non si pronunci in via definitiva. Questo fenomeno delle navette determina lungaggini eccessive, su cui talvolta taluni gruppi politici si fanno forza in ragioni di ostruzionismo.
Con il SI, si supera il bicameralismo paritario, le camere si occuperanno finalmente di cose diverse con il Senato espressione delle autonomie, e ci sarà la tanto auspicata, specie dai più demagoghi, riduzione dei senatori (da 315 a 100) a tutto vantaggio della rapidità delle istituzioni. Come si legge dal nuovo articolo 70, il ruolo dei senatori (salvo taluni casi) avrà una funzione solo consultiva e i pareri da questo espressi non saranno il più delle volte vincolanti. Il tutto con tempistiche molto stringenti fissate tassativamente dall'articolo. È importante sottolineare come molti detrattori della riforma sono comunque favorevoli al superamento di questa forma di bicameralismo.

La seconda delle ragioni riguarda il tendenziale fallimento della riforma del 2001 sul federalismo, che ha novoato il Titolo V della Costituzione. Quando venne proposta la riforma in esame ci era stato prospettato che uno spostamento di poteri dal centro verso la periferia, a cascata, potesse migliorare non solo funzionalmente il nostro Paese, ma anche economicamente attraverso un contenimento dei costi. In realtà così non è stato, e l'unica modifica che abbiamo visto è stato un peggioramento ed un acuirsi della burocrazia (specie tra i conflitti di attribuzione). Con il passaggio della riforma gran parte delle materie strategiche (elencate nel nuovo articolo 117) saranno esclusivo appannaggio dello Stato (dai trasporti all'energia), mentre le materie riservate alle Regioni saranno abbastanza residuali.
A questo si assomma l'eliminazione delle Province e le strutture connesse, con tutto il relativo contenimento dei costi.

La terza delle ragioni riguarda l'eliminazione del CNEL su cui non ci dilungheremo troppo, essendo pacifico che la sua soppressione è cosa voluta anche dai sostenitori del NO. In quasi 60 anni ha dato 96 pareri, proposto 14 disegni di legge (sempre ignorati dal Parlamento), decretando la sua scarsa efficienza. Il CNEL è uno di quei residui di una idea corporativista in voga nel dopoguerra, oggi scomparsa, dato che le categorie che dovrebbe rappresentare preferiscono far sentire la propria voce con altri strumenti.

La quarta ragione e direttamente alla terza connessa: l'obbligo del Parlamento di esaminare le proposte di iniziativa popolare. Certo vi si affianca un aumento delle firme necessarie (da cinquantamila a centocinquantamila), ma questo lo si può facilmente risolvere nel fatto che dalla data di fondazione della Repubblica a oggi, il numero dei cittadini italiani è esponenzialmente aumentato. E se a questo aumento corrisponde l'obbligo del Parlamento di diesamina, lo trovo un giusto compromesso.
Stessa cosa per i referendum abrogativi. Le firme necessarie salgono sì da500mila a 800mila, ma il quorum per contrappeso si abbassa: non più il 50%+1 di tutti gli elettori, ma il 50%+1 dei votanti alle ultime elezioni politiche. Uno strumento questo, che sottrae potere ai detrattori delle votazioni popolari che invitavano all'astensione facendosi forza sull'elevato quorum.
La precedente discplina (delle 500mila firme) tuttavia non scompare, ma il discorso in questione, sopra fatto, non vale: il quorum prende a riferimento tutti gli aventi diritto.

Ed infine cito brevemente le ultime ragioni:
1) "l'equilibrio di uomini e donne nella rappresentanza", come sottolineato dal nuovo articolo 55;
2) spariscono i senatori a vita come disposto dal nuovo articolo 59;
3) il fatto che la legge che disciplina l'elezione dei membri della Camera e del Senato saranno sottoposti prima della promulgazione al giudizio della Corte Costituzionale, arginando il rischio di avere testi (come il porcellum) incostituzionali, a regolare un materia tanto cruciale come quella elettorale (vedasi il nuovo articolo 73 e 134);
4) una maggiore stabilità del Governo che potrà chiedere la fiducia alla sola Camera dei Deputati, a favore del sollecito svolgimento delle sue funzioni;
5) la Pubblica Amministrazione improntata a principi di trasparenza per dettato costituzionale, con la modifica dell'articolo 97.

A tutto questo si assomma il contenimento dei costi, su cui tuttavia non mancano dibattiti con le opposizioni: dal mezzo miliardo stimato dal Presidente Renzi, si passa appena ai 70 milioni teorizzati dalle opposizioni, su cui si dovrebbe dedicare un articolo a parte.

Nell'augurio che i votanti ponderino al meglio la propria scelta esulando da ragioni politiche, non resta che aspettare il 4 dicembre per poter conoscere al meglio l'exit referendario.

Ringrazio infine Neifile, senza il quale questo articolo sarebbe stato scritto diversamente.

-Superman

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