In queste ultime settimane si sta discutendo molto sul tema
della cittadinanza italiana agli immigrati, in particolare dello ius soli,
ossia il diritto di essere cittadini di una certa nazione perché ci si è nati,
per i figli degli immigrati. È un tema molto caldo e combattuto tra le fazioni
politiche e tra la gente, che si dividono in favorevoli, contrari e astenuti.
Ma procediamo con ordine.
Due anni fa è stato approvato alla Camera dei Deputati il
ddl 2092, che tratta delle “modifiche alla legge 5 febbraio 1992” e delle
“altre disposizioni in materia di cittadinanza”. Questo disegno di legge è
stato discusso al Senato solo il 15 giugno scorso, senza il raggiungimento di
un risultato, a causa della mole di emendamenti che la Lega Nord aveva proposto
per modificarlo. Attualmente, gli schieramenti sono rimasti più o meno gli
stessi del 2015: il centrosinistra, la sinistra e i partiti e i movimenti al
Governo sono favorevoli; Lega Nord, Fratelli d’Italia, Forza Italia e il resto
della destra e del centrodestra sono contrari; il Movimento 5 Stelle si
astiene.
A differenza della legge 5 febbraio 1992, detta anche legge 91/1992, il ddl 2092 tiene conto
di due fattori:
- uno ius soli “temperato”, che, invece di concedere la cittadinanza italiana ai figli di cittadini stranieri solo per il fatto di essere nati in Italia, come prevede lo ius soli canonico, permette di dare la cittadinanza ai bambini figli di immigrati, nati in Italia e che abbiano almeno un genitore in possesso del permesso di soggiorno permanente o del permesso di soggiorno europeo di lungo periodo; ciò non avviene automaticamente, ma solo attraverso una richiesta composta da una dichiarazione di volontà, che dovrà essere espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale e che dovrà essere data all’ufficiale dello stato civile del Comune di residenza del minore entro il compimento della sua maggiore età. Se nessuno presenta questa dichiarazione, sarà lo stesso interessato a fare domanda di cittadinanza entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.
- lo ius culturae, che consente di dare la cittadinanza italiana ai bambini figli di cittadini stranieri, se nati in Italia o giunti qui prima di compiere dodici anni e solo se hanno compiuto almeno un ciclo scolastico o se hanno seguito percorsi di formazione professionale triennali o quadriennali idonei al conseguimento di una qualifica; anche in questo caso la cittadinanza italiana si ottiene solo se viene approvata su richiesta presentata da un genitore che abbia la residenza legale in Italia o direttamente dalla persona interessata entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.
A mio avviso, questo ddl è riduttivo: non tiene conto delle
situazioni di estrema povertà in cui versano molti immigrati, povertà che
impedisce loro di avere un permesso di soggiorno di lungo periodo, in quanto
sprovvisti di uno dei requisiti fondamentali per poterlo avere, ossia un
reddito non inferiore all’importo annuale previsto dall’assegno familiare; un
altro requisito, quello della disponibilità di un alloggio idoneo per lo Stato,
per molti diventa una chimera. Senza contare che molte bambine, vuoi per
povertà vuoi per maschilismo, non possono andare a scuola e non possono imparare, di
conseguenza, la cultura italiana, che bisogna conoscere per ottenere la cittadinanza. Insomma, è una riforma che lascia fuori
tante, troppe persone.
Neifile
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