sabato 18 febbraio 2017

La stampa (non) è uguale per tutti

Mentre il clima sulle recenti vicende della sindaca capitolina Virginia Raggi si incendia, dagli spiragli delle appendici dei quotidiani nazionali emergono le vicende di un certo Tiziano Renzi, indagato per il reato di traffico di influenze illecite per l'appalto della Consip. Ovviamente quel cognome ha un peso importante, date le ultime vicissitudini politiche italiane. Perché Tiziano Renzi, di cui ho appena fatto menzione, altri non è che il padre dell'ex primo ministro Matteo, attualmente segretario del Partito Democratico.

Ma perché ho collegato il suo nome a quello di Virginia Raggi all'inizio di questa riflessione? E' di poche ore fa l'articolo postato da Grillo sul suo blog (che potete leggere qui), che lamenta una disparità di trattamento della notizia, insinuando ragioni politiche da parte delle principali testate giornalistiche, quali la Repubblica, La Stampa e Corriere della sera, rispetto all'attenzione mostrata in questi giorni sui vari episodi del caso Raggi. La stessa cosa non è stata lamentata solo da Grillo, che anzi si fa quasi portavoce di un pensiero diffuso tra i suoi affiliati. Un pensiero molto, molto diffuso, Tanto che qualcuno, sui gruppi Facebook di discussione del Movimento 5 Stelle, ci offre addirittura un minutaggio esatto dello spazio dedicato dai telegiornali di punta nostrani, all'una e all'altra notizia: "2 minuti per il padre di Renzi, e 12 per la Raggi".



Tuttavia, è abbastanza curioso come questa situazione sia solo una fallace strumentalizzazione politica. Lungi dal compiere giudizi che spettano solo ai tribunali, mi soffermo solo a evidenziare l'assurdo paradosso tale per cui le vicende di un semplice imprenditore indagato dovrebbero addirittura surclassare e sviare dall'amministrazione della città più importante del nostro Paese: Roma. Specie in un momento come questo, in cui si infittisce il caso delle polizze e, sebbene ripeto che non voglio compiere nessun processo anticipato, sembra anche palese la disparità di gravità dei fatti per cui l'uno e l'altra sono indagati.

Mi viene in mente una riflessione. Tutto il nostro ordinamento permea la disciplina penale su un principio di colpevolezza, vale a dire sulla personalità della responsabilità penale; nessuno può cioè essere punito per un fatto commesso da altri. In quale momento il fatto che con un soggetto ci sia un rapporto di parentela con un'assai invisa personalità politica, quale l'ex premier, è diventato un parametro di valutazione della condotta di un indagato? E aggiungo: quando la condotta giuridica di qualcun altro, sia esso un parente o una persona fidata, finisce con l'influire sulla posizione di un personaggio politico che a quei fatti è assolutamente estraneo? Siamo tornati a quella vecchia mentalità biblica per cui le colpe dei padri ricadono sui figli? E se è così, fino a che generazione devono scontarsi le pene e le colpe, per Grillo e i suoi sodali?

E' curioso, infine, che la stampa abbia citato Tiziano Renzi solo come "il padre di Renzi". Senza indicare un titolo, un ufficio, un ruolo professionale che giustificasse il suo essere  sotto l'occhio del ciclone. Un mero titolo polemico?

Il vecchio detto "due pesi e due misure" è vero fino a un certo punto. Specie se scavando a fondo nella sostanza dei fatti ci ritroviamo davanti a due circostanze talmente diverse che una disparità di attenzione da parte di giornali e telegiornali è assolutamente inevitabile.

- Superman

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