lunedì 20 febbraio 2017

Piccola riflessione sugli smart toys

C’era una volta, in un piccolo paesino, una bambina che ricevette in dono Pamela, una bambola che parlava, cantava un jingle e camminava. Sua zia credeva di renderla felice con questo giocattolo tecnologico (erano gli Anni Ottanta); invece la bimba, appena vide la bambola in azione, cominciò a piangere per la paura.

Anni e anni dopo, l’evoluzione del giocattolo, come di altri oggetti di uso quotidiano, ha portato alla nascita delle smart things. Ma, se uno smartphone dotato di GPS e di app di ogni genere non ci preoccupa più di tanto, alcuni trovano molto pericolosi gli smart toys, come Cayla della Genesis Toys, da poco ritirata dagli scaffali tedeschi, perché considerata possibile strumento di spionaggio dei bambini. Cayla è una simpatica bambola bionda che, come scritto nella confezione, può essere personalizzata, capirti e chiacchierare, rispondere alle domande, raccontare storie e giocare, quasi come una bambina vera molto vispa. Tra le varie cose, il microfono di cui è dotata è collegabile tramite Bluetooth a ogni smartphone presente nel raggio di 10 metri dal giocattolo. Questo, se può essere considerato una manna dal cielo dai genitori apprensivi che non vogliono invadere fisicamente lo spazio privato dei figli, ha messo in allarme le autorità federali tedesche, che hanno pensato quanto potesse essere facile hackerare la bambola e raccogliere informazioni, anche molto personali, dai bambini che la usano: spiarli, insomma.

La bambola Cayla


Ovviamente possiamo fare mille altri esempi. Persino le macchinine telecomandate sono collegate con la rete, per poter compiere dei percorsi programmati via web. Il classico orsacchiotto con la videocamera è ormai superato.

Il fatto che questi smart toys si colleghino ad Internet, e dunque a chissà quale server che può sfruttare le informazioni captate a proprio vantaggio, rende vulnerabili i bambini dal punto di vista della privacy. E allora che si fa? Ci teniamo il panico? Ci facciamo inglobare? Siamo arrivati alla situazione descritta in “1984” di Orwell, in cui tutti veniamo controllati dal Grande Fratello? Non penso che molti si siano posti lo stesso problema col forno che si accende o si spegne tramite app, per citare un esempio banale, o con il prototipo di robot creato per servire un anziano malato.

Certo, i bambini sono più sensibili degli adulti, ma pensiamoci bene: se l’uomo ha creato queste “diavolerie”, l’uomo potrà tranquillamente controllarle. Personalmente penso che, per quanto questi giochi possano essere hackerati come un qualunque dispositivo, bisogna fare i conti con la tecnologia e cercare di starle al passo, anziché spaventarci. Ve lo dice un’ex bambina impaurita, che, a furia di stare a contatto con le smart things, è diventata ottimista.

Sarà l’abitudine, sarà che confido nella superiorità umana sulle macchine, sarà che il cervello umano è troppo imprevedibile per essere replicato davvero, fatto sta che sapere di essere tutelata dalla legge qualora venissi hackerata mi tranquillizza. Anche se, lo confesso, non darei mai un giocattolo smart o un tablet a un bambino che non sappia divertirsi anche con quelli normali, per non abituarlo male. Credo che ci voglia equilibrio, come per tutto. Solo se lo smart toy diventasse un’ossessione, dovremmo seriamente preoccuparci.

Neifile

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