mercoledì 22 marzo 2017

Eraser challenge, Blue Whale e altri giochi pericolosi

Sono sempre di più le mode dannose che spopolano tra gli adolescenti, sempre più in cerca di qualcosa di sensazionale da fare e da postare. Sì, perché, nell’era dei social, l’importante è mostrarsi, non importa come; basta che si parli di loro, nel bene o nel male. Anche a costo della vita.

Ecco alcuni giochi e sfide pericolosi:

Cinnamon challenge: la “sfida della cannella” consiste nel provare a ingoiare un intero cucchiaio di cannella in polvere. Apparentemente solo sciocca, può provocare danni ai polmoni e al fegato, a causa di una sostanza tossica presente in questa spezia.

Drinking challenge: la “sfida della bevuta” consiste nel bere alcolici fino a ubriacarsi e nominare qualcun altro che deve accettare la sfida entro 24 ore. Inizialmente partito come un semplice gioco alcolico, ha finito col portare diversi ragazzini in coma etilico. È forse la più conosciuta e longeva challenge comparsa su YouTube.
     
 Condom challenge: la “sfida del preservativo” consiste nell’infilare un intero profilattico nel naso e cercare di farlo uscire dalla bocca. Se il profilattico si rompe può causare la morte per soffocamento.
      
Fire challenge: la “sfida del fuoco” consiste nel cospargersi di liquido infiammabile e di darsi fuoco. Anche se per pochi secondi, questa sfida può causare ustioni molto gravi.
      
Ice and salt challenge: la “sfida del sale e del ghiaccio” consiste nel cospargere una parte del corpo di sale e di metterci sopra un cubetto di ghiaccio. Provoca il congelamento della parte del corpo e può causare anche delle ustioni.
      
Eraser challenge: la “sfida della gomma” è forse l’ultima moda delle challenge; consiste nel grattare una parte del corpo co una gomma da cancellare fino a sanguinare.
     
 Eyeballing: consiste nel farsi versare della vodka negli occhi come fosse un collirio. Il tentativo sarebbe quello di sballarsi, in realtà brucia solo gli occhi.
      
Blue Whale: il gioco più dannoso e sofisticato in circolazione comprende 50 sfide, la prima delle quali consiste nell’incidersi una balena sul braccio con un coltello e l’ultima dice: “trova il palazzo più alto e salta”. In Russia è diventato un caso nazionale per l’alto numero di suicidi.
      
Ruleta: detta anche “roulette sessuale”, è una rivisitazione in chiave porno del gioco della bottiglia. Un gruppo di ragazzi si mette in cerchio e penetra le ragazze presenti, a turno, per 30 secondi ciascuna; vince chi eiacula per ultimo. Se ne parla già da diversi anni in quanto ha causato un’emergenza sociale prima in Colombia e poi in Spagna, con un aumento vertiginoso di gravidanze e malattie veneree tra gli adolescenti.
Una delle sfide del Blue Whale: incidersi una balena sul braccio


Sono i 15 minuti di notorietà, la celebrità a cui ognuno di noi ha diritto secondo Andy Warhol, nel modernissimo mondo contemporaneo. 15 minuti vi sembrano forse troppi? Siamo, oggi come oggi, bersagliati da tanti di quei contenuti multimediali che obiettivamente finiamo quasi col perdere il conto delle decine di mode, challenge e sfide che nell’era di internet si sono succedute. Siamo in una situazione in cui, usando dei termini economici, l’offerta ha finto con il colmare e trasbordare la domanda. Ci sono tanti di quei contenuti che è quasi impossibile vederli tutti.

Ormai, nel disperato bisogno di notorietà, ci si rivolge agli haters quali principali fruitori; essi infatti sono gli unici capaci di soddisfare, sebbene in negativo, questa voglia di esibizionismo malato. Chiunque ceda a queste mode al limite del pericoloso o del criminale nasconde uno smoderato bisogno di attenzioni, insoddisfabile se non con un’interazione virtuale.

Non c’è solo una perdita dei valori sociali, ma una sostituzione di quei valori in favore di un mondo virtuale, che non esiste se non in una lunga catena di 0 e di 1. Con tutto il pericolo che ciò comporta. Proprio perché mondo virtuale e reale inevitabilmente coesistono, l’uno integra e porta conseguenze nell’altro.

È stato calcolato che ognuno di noi, in media, presta attenzione ad un post social per circa 4 secondi. Ecco perché considero sovrastimati i noti 15 minuti. Chissà cosa ne pensa chi aderisce a queste sfide, per soli 4 secondi di fama.

-Superman e Neifile

domenica 19 marzo 2017

Il velo islamico e i divieti di usarlo

Si fa presto a dire velo islamico. Ve ne sono di diverse tipologie, che coprono più o meno il volto o la figura della donna. Le quattro più conosciute sono: l’hijab, un foulard che copre fronte, orecchie, nuca e capelli di chi lo indossa; il chador, che lascia scoperto il viso ma che copre tutto il corpo; il niqab, che lascia scoperti solo gli occhi; e il burqa, che copre tutto il corpo e vela gli occhi con una sorta di griglia di tessuto. Di solito, quando il velo copre solo il capo o il volto, le donne musulmane portano abiti coprenti e dal taglio morbido, in modo da non ostentare le proprie forme.

In Unione Europea è stato da poco concesso alle aziende di vietare ai loro dipendenti qualsiasi indumento che rimandi alla religione, al pensiero filosofico o a un ideale politico; in Italia vige la legge 152/1975, modificata di recente con la legge 155/2005, il cui articolo 5 recita: “E’ vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo (…). Il contravventore è punito con l’arresto da uno a due anni e con l’ammenda da 1000 a 2000 euro. Per la contravvenzione di cui al presente articolo è facoltativo l’arresto in flagranza.”. Questo articolo è stato interpretato, negli anni, in modi differenti: se da un lato il Consiglio di Stato considera la religione e/o la cultura di provenienza una giustificazione valida, le Regioni Lombardia e Liguria hanno deciso di vietare, proprio in virtù di questo articolo, il burqa e il niqab nei luoghi pubblici o aperti al pubblico.

Trovo che vietare il velo islamico in toto, se non vi è un’immagine aziendale uguale per tutti a cui ci si deve attenere, sia discriminatorio e riduca la libertà di espressione della donna musulmana; però, in tempi come questi, in cui viviamo perennemente con la paura di attacchi terroristici, dovremmo riuscire a identificare chiunque, a prescindere dalla sua cultura. Quindi ben venga il divieto di indossare burqa e niqab in luoghi pubblici, ma impariamo a convivere con le donne velate.

Neifile


Quattro tipologie di velo islamico


Oggi come oggi appare fondamentale chiamare tutte le cose con il proprio nome. E per quanto il diritto di religione e di libertà di scelta debba sempre essere universalmente riconosciuto, esistono casi in cui diritti superiori o dello stesso rango impongono la necessità di restringere questi diritti. Nel mondo delle relazioni sociali nulla è tutto bianco o tutto nero, ma ci sono delle sfumature intermedie che non possiamo mai tralasciare.

Se ragionassimo a compartimenti stagni, in un caso esemplificativo, per non ledere il sacro diritto all’onore di una persona, dovremmo cancellare dal nostro ordinamento tutti i tribunali, ossia le sedi in cui si accertano i fatti illeciti che qualcuno ha commesso e che ovviamente macchiano l’onore di una persona. Allo stesso modo l’interesse generale della sicurezza pubblica impone una limitazione per tutti coloro che vogliono spingere la propria libertà fino a girare in luoghi pubblici a volto coperto.
Ecco perché non mi sento di contestare la decisione assunta dalla Giunta Regionale della Liguria. L’ordine pubblico impone inevitabilmente scelte di questo tipo.  Dopotutto viviamo sotto la pressante preoccupazione, più che fondata, di un attentato di tipo terroristico.

Questo è sempre valevole, ma per quanto riguarda la copertura del viso ci sono dei gradi intermedi. Il cosiddetto velo, quando lascia integra la visibilità del viso, non può essere vietato, perché non c’è un’esigenza di ordine tanto forte da violare un principio di libertà personale o religiosa: i tratti somatici sono perfettamente riconoscibili e la possibilità di identificazione è lasciata impregiudicata.

È vero, nel nostro ordinamento non mancano lacunosità. L’unico riferimento al viso coperto risale sì ad una legge del 1975, ma aveva come obiettivo la repressione di un diverso tipo di terrorismo, in pieni anni di piombo, e indica come indumento atto a celare il volto il casco. Ma sul sito della Polizia di Stato, l’organo pubblico adibito al rilascio del Passaporto, si prende in espressa considerazione, per la foto del documento, l’ipotesi del copricapo religioso, velo o turbante che sia, specificando: “non sono ammessi copricapi di alcun genere, a parte quelli portati per motivi religiosi”. Potete trovare il testo completo qui. È il mondo intricato della burocrazia, i cui leggi, regolamenti e a volte usi si stratificano. Le regole del nostro vivere quotidiano finiscono poi con il dover essere ricercate pedissequamente, imbattendosi talvolta in funzionari pubblici che per forza di cose non possono conoscere tutta la mole di contributi giuridici esistenti (specie perché, come in questo caso, promanano da un organo amministrativo come la Polizia).

Un intervento legislativo come quello della Giunta della Regione Liguria appare dunque necessario: solve i dubbi e aiuta a districare la burocrazia su un tema borderline come il velo islamico.


-Superman

venerdì 17 marzo 2017

Zoo, circhi e animali selvatici in cattività

Si sta parlando molto degli animali selvatici in cattività, a causa di diversi casi di maltrattamenti e uccisioni di questi negli zoo; si discute inoltre della loro utilità nei circhi, dove, anche se ben trattati, non sono liberi e protetti come dovrebbero.

Proprio in questi giorni, in Repubblica Ceca, tre fratellini sono andati allo zoo, hanno scavalcato la recinzione dello spazio riservato agli uccelli e hanno preso a sassate e a calci dei fenicotteri, uccidendone uno e ferendone gravemente un altro. Essendo troppo piccoli per essere puniti dalla legge, i genitori hanno pagato una multa come risarcimento per l’animale deceduto.

Mi astengo dal commentare la condotta dei tre bambini, che avevano un’età compresa tra i 5 e gli 8 anni e hanno agito con una brutalità inaudita; ma questo e altri episodi, come quello del rinoceronte ucciso dai bracconieri per prenderne il corno nello zoo di Parigi, portano a delle domande: è giusto continuare a tenere aperti dei luoghi dove gli animali, nonostante vivano in ricostruzioni perfette del loro habitat naturale, non stanno comunque a casa loro? Certo, alcune specie sono in pericolo e addirittura a rischio estinzione nel loro luogo d’origine, ma fa loro bene preservare la specie in spazi angusti e artificiali? Inoltre, con l’avvento di internet e con le conoscenze del mondo che abbiamo a disposizione oggi, ha ancora senso tenere aperto uno zoo? Soprattutto se chi lo gestisce si comporta come coloro che, sempre in Repubblica Ceca, vogliono tenere 18 rinoceronti con il corno tagliato da loro per prevenire il bracconaggio.

Bisogna ovviamente fare delle distinzioni, per esempio tra gli zoo classici, dove gli animali stanno in spazi angusti, se non proprio in gabbia, e i bioparchi, dove gli esemplari delle specie a rischio sono quasi liberi e protetti. Tuttavia l’Enpa, l’Ente nazionale per la protezione degli animali, non fa distinzione di sorta e vorrebbe che chiudessero tutti questi posti, perché nessuno dovrebbe vedere animali indifesi e infelici, e magari minacciarne l’integrità.



Per lo stesso motivo, l’attuale ministro per i Beni Culturali Dario Franceschini ha proposto una riforma, ora all’esame della Commissione Cultura del Senato, che prevede la progressiva dismissione degli animali dai circhi. Questo disegno di legge è appoggiato dalla Lav, la Lega antivivisezione, in particolare dalla sua Area animali esotici. Secondo quest’associazione e secondo molti altri, gli animali non sono acrobati: sottoporli ad addestramenti, spettacoli e trasferimenti rappresenta per loro una grande fonte di stress, a cui si aggiunge il rischio di malattie e infezioni, facilitato dall’aggregarsi di tanti animali in piccoli spazi; malattie e infezioni che potrebbero essere trasmesse anche agli umani che entrano in contatto con loro. Inoltre, un circo senza animali è un circo più sicuro: solo in Italia sono avvenuti, dal 1995 a oggi, 30 incidenti che hanno coinvolto 35 animali, di cui il 36% ha avuto delle conseguenze, tra feriti e persino morti. Infine, un circo senza animali è un circo più flessibile e più economico: il circo classico è in forte crisi ed è molto costoso in termini di spazio, di flessibilità e di mantenimento di tutti. Vi sono 52 Paesi nel mondo, 18 solo nell’Unione Europea, che hanno vietato o posto delle restrizioni all’utilizzo degli animali nei circhi. Ora tocca all’Italia e ad altre nazioni esprimersi a riguardo.

Non ho mai amato particolarmente vedere gli animali selvatici in cattività. Ammetto che sia suggestivo vedere delle specie, soprattutto se esotiche, da vicino, ma è triste vederli costretti a vivere in un ambiente che non è il loro, messi in vetrina o addirittura, come nel caso dei circhi classici, a fare acrobazie per il divertimento del pubblico. È vero, alcuni di questi animali non conoscono che la cattività, ma è una giustificazione sufficiente?

Penso tuttavia che i bioparchi, quando sono gestiti bene, facciano un buon lavoro mantenendo gli animali in semilibertà e proteggendoli dai pericoli che queste specie hanno nella loro terra natale. Ma forse una riserva naturale sarebbe il giusto compromesso: gli esemplari vivrebbero liberi anche se controllati, e nel loro habitat naturale; ogni territorio dovrebbe avere solo la sua fauna tipica: se riuscissimo a tenere questo equilibrio in tutto il pianeta, vivremmo in un mondo migliore.

Neifile

giovedì 9 marzo 2017

Lotto Marzo: perché non ho scioperato

L’8 marzo è la giornata internazionale dedicata a tutte le donne, ai loro diritti e agli abusi e discriminazioni che subiscono nel mondo. Quest’anno c'è stato lo sciopero generale in 49 Paesi, compresa l’Italia; qui trovate un’intervista a Silvia Carabelli, membro del movimento "Non una di meno". Io ho preferito non scioperare per motivi personalissimi e per convinzioni che vi spiego in questo post.

Il tema principale dello sciopero era la lotta contro la violenza di genere in tutte le sue forme e, allargando il campo, contro la discriminazione in generale. Un motivo nobile, che ha coinvolto associazioni femministe e sindacati, accomunati dall'obiettivo di protestare e dare un segnale molto forte contro questo fenomeno sociale: nel 2016 più di 6 milioni di donne italiane hanno subito abusi o violenza di qualche tipo. Però la violenza non coinvolge solo le donne e le bambine, ma anche gli uomini e i ragazzini: stando a uno studio condotto dal docente dell’Università di Arezzo Pasquale Giuseppe Macrì nel 2012, sono circa 3,8 milioni gli uomini italiani che hanno subito violenza per mano femminile; questo studio, chiaramente incentrato su un ribaltamento del punto di vista del fenomeno sociale della violenza di genere e forse anche un po' provocatorio, dimostra che non sono solo le donne ad essere minacciate, abusate e uccise. Credo che, alla luce di questi dati e di tanti altri casi non denunciati o tristemente saliti agli onori della cronaca, le discriminazioni, le molestie e gli abusi, di solito perpetrati da chi è più vicino alle vittime, non abbiano sesso, e pertanto debbano essere condivisi da tutti e coinvolgere tutti nella protesta.

Non ho scioperato anche perché ritengo che il lavoro e la vita quotidiana siano fondamentali per vivere dignitosamente e rinunciarci per protesta, anche se per un solo giorno, mi sembra controproducente. Mi sento in dovere di partecipare alla vita lavorativa e sociale del mio Paese dopo tutte le battaglie e le conquiste sudate da chi mi ha preceduto. Certo, c'è ancora tanto da fare per ottenere la parità tra uomini e donne, anche in cose che dovrebbero essere banali come l’uguale retribuzione o la parità di trattamento ai colloqui e sul luogo di lavoro. Però perché incrociare le braccia e non continuare a sfidare i pregiudizi di chi vorrebbe che la donna fosse solo l’angelo del focolare, o un trofeo da mostrare agli amici, impegnandosi nel lavoro e magari dimostrando di essere migliori degli uomini? Che le donne spesso non raggiungano la dirigenza è un dato di fatto, e che se lo fanno spesso sono viste con un certo timore e con invidia. Ma non sarà uno sciopero a cambiare una mentalità, bensì il lavoro duro e costante.
Il logo di Lotto Marzo, organizzato dal movimento Non una di meno

Ci sono tanti diritti che vengono negati alle donne nel mondo: la libertà di mostrarsi (o di coprirsi) quanto si vuole; la libertà di scegliere se avere o meno un figlio; il diritto di avere un’opportunità oltre il focolare domestico o di poter guidare un’auto. Oggi però, in Italia, si è protestato anche per altri motivi, come la Buona Scuola o i salari troppo bassi per molti lavoratori. Non so cosa c’entrassero queste tematiche, che potevano essere affrontate in un qualsiasi altro giorno dell’anno. Ci sono state anche manifestazioni a tema, sia ben chiaro.

C'è stata anche un’altra cosa che non mi è andata giù: le donne, per protestare, non avrebbero dovuto fare la spesa, per frenare il lavoro produttivo anche da consumatrici; ridicolo, il consumo non si basa sul sesso dell’acquirente. Non capisco per quale motivo avrei dovuto privarmi di qualcosa che mi serve, anche se solo per un giorno, per protesta. Forse per la famosa "tassa rosa", ossia l'aumento del prezzo sui prodotti pensati per le donne, ma quella meriterebbe un boicottaggio a lungo raggio, ammesso che si possa fare a meno di determinati prodotti o servizi o che scegliere prodotti "maschili" possa fare al proprio caso.

La donna è una colonna portante della società, non solo come lavoratrice, ma anche come persona che accudisce altre persone, spesso propri cari perché non sempre lo Stato le aiuta nell'assistenza dei più bisognosi. Da questo punto di vista, purtroppo, chi si ferma danneggia anche gli altri.

Con questo testo non voglio sminuire le proteste, tantomeno il diritto di protesta contro il sistema; sono fermamente contraria alle discriminazioni, al sessismo e sono cosciente della condizione femminile. Semplicemente, stavolta, questo sciopero non mi ha convinto.

Neifile

mercoledì 8 marzo 2017

Il Nudo non è porno - #2

Emma Watson scattata da Vanity Fair: la foto protagonista dell'accaduto

Quale miglior modo di continuare questa rubrica, parlando di Emma Watson alla fine di questo giorno della Festa della Donna? Perchè lei? Hermione s'è spogliata?!? ALT!

Innanzitutto partiamo da ciò che è accaduto 3 giorni fa: l'attrice inglese Emma Watson, conosciuta a livello mondiale per il ruolo di Hermione Granger nei film di Harry Potter, quando era bambina, ha posato per Vanity Fair, in modo elegante e "nudo".

Nudo? Sì, in pratica il vestito che indossa in questa foto la mette a busto nudo, scoprendole in parte il seno. Questa immagine sexy ha scatenato delle polemiche partite dalle femministe, le quali ritenevano che lei avrebbe dovuto avere un po' più di decoro, essendo una celebrità promotrice dei diritti delle donne.

Dopo alcune ore, Emma Watson ha risposto alle critiche (la sua risposta completa la trovate qui: http://www.bestmovie.it/news/emma-watson-topless-vanity-fair-subito-polemica/587053), constatando la gran confusione sulla definizione del femminismo, termine che, oggi, viene associato alle "maestrine bacchettone", quando invece dovrebbe essere qualcosa di libero e democratico.

Secondo me, le critiche su Emma Watson sono state esagerate, perchè molte la ricordano come "la dolce, bellina e saccente amica di Harry" o come una ragazzina sempre "coperta e mai trasgressiva" e qui, di così tanto trasgressivo non c'è niente.

E' dagli Anni '50 che, negli USA, si fanno foto di nudo ed una foto di Emma Watson non dovrebbe causare un tale scandalo, solo perchè nuda in parte. Uno scandalo causato dalla violazione di privacy e che doveva essere contestato da un gruppo di femministe poteva essere quello dell'hackeraggio delle foto di nudo di svariate celebrità hollywoodiane come Kim Kardashian, Krysten Ritter, Kate Upton, Jennifer Lawrence, ecc., cosa accaduta alcuni mesi fa.

Quindi, vi domando se sia più scandalosa una foto come questa creata legalmente da Vanity Fair e dalla stessa Emma Watson, oppure una pubblicazione illegale di foto sexy di belle celebrità su tutti i siti internet. Non che dispiaccia vedere qualcosa di sexy/nudo, ma è meglio stare alla legge del detto "Guardare, ma non toccare".

A.D.

sabato 4 marzo 2017

Orgoglio dei genitori e privacy dei figli

La privacy dei bambini è un argomento che sta a cuore a molti di noi. In Germania, per sensibilizzare al problema, è stata aperta su Facebook, nell’ottobre del 2015, una pagina, “Little Miss&Mister”, in cui vengono pubblicate foto rubate da profili, soprattutto da quelli di genitori così orgogliosi dei propri figli da mantenere queste foto accessibili a tutti. Sono stati proprio questi genitori, indignati per aver visto su una pagina pubblica le proprie foto private, a protestare, al punto da far chiudere la pagina. Nonostante le proteste e le segnalazioni, la pagina è stata riaperta e al momento conta circa 215 persone a cui piace.

Scopo di questa pagina è far aprire gli occhi ai genitori che postano su Facebook le immagini dei propri pargoli in tutte le situazioni possibili e immaginabili (basti pensare alla foto principale di “Little Miss&Mister”, che ritrae una bambina molto piccola intenta a mettersi il rossetto).

La pagina Facebook tedesca "Little Miss&Mister"

Dal punto di vista legislativo, la tutela della privacy del minore è considerata fondamentale, in particolare in caso di pubblicazione delle immagini da parte dei giornalisti e di pubblicazione a scopo illecito o denigratorio della reputazione del minore in questione, come nel caso della pedopornografia. Si possono consultare, a tal proposito, il testo della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, quello della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il Codice della privacy, la Costituzione e i codici civile, amministrativo e penale. Inoltre, il Garante della Privacy ha dichiarato che il minore deve essere tutelato in ogni momento della sua vita quotidiana.

Tutto ciò sta ad indicare che, per quanto i genitori abbiano la tutela del minore e possano evitare di chiedere il suo esplicito consenso ogni volta che pubblicano una foto o un video che lo ritrae, dovrebbero quantomeno rispettare la sua privacy.


Partendo comunque dal presupposto che ognuno può fare ciò che meglio crede, ricordo che Facebook è un social network e che il diario al suo interno è pubblico o visibile a molte persone, non sempre benintenzionate; lasciare una foto o un video del proprio figlio disponibile a tutti significa mettere il bambino in pericolo e danneggiare la sua privacy. Sebbene sia meglio non postare affatto questo genere di immagini o almeno nascondere il volto del bimbo perché le immagini in questione possono essere utilizzate in modo non appropriato, bisognerebbe avere l’accortezza di mettere dei filtri alla condivisione di ciò che si pubblica e renderlo visibile a meno persone possibili, fidate e conosciute. Capisco l’orgoglio dei genitori, ma suggerirei di preferire altri metodi di raccolta dei momenti salienti e non della vita del proprio figlio, magari la creazione del caro, vecchio album di ricordi, da tirare fuori all’occorrenza. 

Neifile