Si fa presto a dire velo islamico. Ve ne sono di diverse
tipologie, che coprono più o meno il volto o la figura della donna. Le quattro
più conosciute sono: l’hijab, un foulard che copre fronte, orecchie, nuca e
capelli di chi lo indossa; il chador, che lascia scoperto il viso ma che copre
tutto il corpo; il niqab, che lascia scoperti solo gli occhi; e il burqa, che
copre tutto il corpo e vela gli occhi con una sorta di griglia di tessuto. Di
solito, quando il velo copre solo il capo o il volto, le donne musulmane
portano abiti coprenti e dal taglio morbido, in modo da non ostentare le
proprie forme.
In Unione Europea è stato da poco concesso alle aziende di
vietare ai loro dipendenti qualsiasi indumento che rimandi alla religione, al
pensiero filosofico o a un ideale politico; in Italia vige la legge 152/1975, modificata
di recente con la legge 155/2005, il cui articolo 5 recita: “E’ vietato l’uso
di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il
riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza
giustificato motivo (…). Il contravventore è punito con l’arresto da uno a due
anni e con l’ammenda da 1000 a 2000 euro. Per la contravvenzione di cui al
presente articolo è facoltativo l’arresto in flagranza.”. Questo articolo è
stato interpretato, negli anni, in modi differenti: se da un lato il Consiglio
di Stato considera la religione e/o la cultura di provenienza una
giustificazione valida, le Regioni Lombardia e Liguria hanno deciso di vietare,
proprio in virtù di questo articolo, il burqa e il niqab nei luoghi pubblici o
aperti al pubblico.
Trovo che vietare il velo islamico in toto, se non vi è
un’immagine aziendale uguale per tutti a cui ci si deve attenere, sia
discriminatorio e riduca la libertà di espressione della donna musulmana; però,
in tempi come questi, in cui viviamo perennemente con la paura di attacchi
terroristici, dovremmo riuscire a identificare chiunque, a prescindere dalla
sua cultura. Quindi ben venga il divieto di indossare burqa e niqab in luoghi
pubblici, ma impariamo a convivere con le donne velate.
Neifile
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Quattro tipologie di velo islamico |
Oggi come oggi appare fondamentale chiamare tutte le cose
con il proprio nome. E per quanto il diritto di religione e di libertà di
scelta debba sempre essere universalmente riconosciuto, esistono casi in cui
diritti superiori o dello stesso rango impongono la necessità di restringere
questi diritti. Nel mondo delle relazioni sociali nulla è tutto bianco o tutto
nero, ma ci sono delle sfumature intermedie che non possiamo mai tralasciare.
Se ragionassimo a compartimenti stagni, in un caso
esemplificativo, per non ledere il sacro diritto all’onore di una persona,
dovremmo cancellare dal nostro ordinamento tutti i tribunali, ossia le sedi in
cui si accertano i fatti illeciti che qualcuno ha commesso e che ovviamente
macchiano l’onore di una persona. Allo stesso modo l’interesse generale della
sicurezza pubblica impone una limitazione per tutti coloro che vogliono
spingere la propria libertà fino a girare in luoghi pubblici a volto coperto.
Ecco perché non mi sento di contestare la decisione assunta
dalla Giunta Regionale della Liguria. L’ordine pubblico impone inevitabilmente
scelte di questo tipo. Dopotutto viviamo
sotto la pressante preoccupazione, più che fondata, di un attentato di tipo
terroristico.
Questo è sempre valevole, ma per quanto riguarda la
copertura del viso ci sono dei gradi intermedi. Il cosiddetto velo, quando
lascia integra la visibilità del viso, non può essere vietato, perché non c’è
un’esigenza di ordine tanto forte da violare un principio di libertà personale
o religiosa: i tratti somatici sono perfettamente riconoscibili e la
possibilità di identificazione è lasciata impregiudicata.
È vero, nel nostro ordinamento non mancano lacunosità. L’unico
riferimento al viso coperto risale sì ad una legge del 1975, ma aveva come
obiettivo la repressione di un diverso tipo di terrorismo, in pieni anni di
piombo, e indica come indumento atto a celare il volto il casco. Ma sul sito
della Polizia di Stato, l’organo pubblico adibito al rilascio del Passaporto, si prende in espressa
considerazione, per la foto del documento, l’ipotesi del copricapo religioso,
velo o turbante che sia, specificando: “non sono ammessi copricapi di alcun
genere, a parte quelli portati per motivi religiosi”. Potete trovare il testo completo qui. È il mondo intricato
della burocrazia, i cui leggi, regolamenti e a volte usi si stratificano. Le
regole del nostro vivere quotidiano finiscono poi con il dover essere ricercate
pedissequamente, imbattendosi talvolta in funzionari pubblici che per forza di
cose non possono conoscere tutta la mole di contributi giuridici esistenti
(specie perché, come in questo caso, promanano da un organo amministrativo come
la Polizia).
Un intervento legislativo come quello della Giunta della Regione
Liguria appare dunque necessario: solve i dubbi e aiuta a districare la
burocrazia su un tema borderline come il velo islamico.
-Superman
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