E' vero che, quando arriva il Natale, ci vien voglia di rivedere un classico come gli "Home Alone" e le varie versioni cinematografiche sul Canto di Natale di Charles Dickens, ma in questi giorni è nata una discussione che segue una domanda che spacca in due il pensiero dello spettatore: Rogue One è meglio o peggio del settimo episodio ufficiale di Star Wars?
Alcuni dicono di sì ed altri dicono di no, ma penso che Rogue One non sia da paragonare a Star Wars VII, poichè è un intermezzo che segue il terzo film della saga (La Vendetta Dei Sith) e precede il quarto (Guerre Stellari).
Di certo, faccio chapeau a due elementi fondamentali del successo di questo "Episodio III-b", ovvero, a Michael Giacchino, che ha saputo giostrare benissimo la sua colonna sonora, unendo parte di alcuni vecchi brani celebri di John Williams col suo stile profondo e tenebroso e agli effetti speciali sorprendenti che differenziano questo film dagli altri dell'universo di Star Wars, avvicinandosi di più a Fast and Furious 7.
"Ma Fast And Furious 7 non è fantascienza...". E' vero, ma è uno dei primi film che ha rappresentato una nuova motion capture innovativa capace di ricreare perfettamente un attore deceduto oppure nella sua versione più giovane. Fast And Furious 7 mostrò un Paul Walker totalmente ricreato al computer dalla Weta Digital, casa produttrice di effetti speciali di Peter Jackson che ha, tra l'altro, curato gli effetti speciali di Avatar di James Cameron.
Dopo la morte dell'attore accaduta poco tempo prima di completare le riprese, lo staff tecnico decise di ricrearlo al computer, nelle sue ultime scene. Questa nuova motion capture, evidentemente, si è evoluta ed ecco che vediamo Peter Cushing (Generale Tarkin) e Carrie Fisher (Principessa Leila) totalmente ricreati al computer, come se fossero veri. Quando ho visto quelle scene in sala, ero rimasto a bocca aperta, perchè nessuno si aspettava lontanamente di rivedere quei personaggi in modo perfetto. Inoltre, anche alcuni soldati al fianco di Peter Cushing sono stati ricreati al computer e questo dà un perfetto collegamento tra i due film.
Così, ecco riesumato un attore inglese morto 22 anni fa ed ecco ringiovanita Carrie Fisher come lo era nel 1977. Ironia nera della sorte, Carrie Fisher, poche ore fa, è sopravvissuta ad un infarto accusato durante un viaggio in aereo. Una notizia che ho saputo dopo la visione nel cinema.
Il cast mostra degli attori che hanno ripreso i ruoli che avevano interpretato nella saga ufficiale, come il Senatore Bail apparso precedentemente negli Episodi II e III ed una delle cose che i fan hanno molto apprezzato, in entrambi i doppiaggi, è il ritorno di James Earl Jones e Massimo Foschi (rispettivamente, 85 e 78 anni!) alla voce di Darth Vader. Purtroppo, come in ogni singolo film, c'è una pecca da dover notare in questo film, e quella, secondo me, è proprio la recitazione.
Esteticamente, il cast andava più che bene, ma a livello recitativo...insomma. Felicity Jones era troppo legnosa quanto Diego Luna, in ogni scena...boh...non mi hanno proprio convinto.
D'altro canto, ho apprezzato particolarmente la recitazione di Ben Mendelsohn, il quale ha interpretato il cattivo effettivo del film e Forest Whitaker, il quale è un personaggio oscuro del film. Un'altra pecca riguarda alcune scene di gruppo che hanno dei tempi troppo lenti, tanto da poter annoiare il pubblico.
Detto questo, penso che Rogue One abbia il pregio di aver presentato per la prima volta una tecnica innovativa che possa resuscitare ogni attore morto, byte per byte. E' un avanzamento cinematografico che è stato raggiunto in questi ultimi 10 anni.
Se volete passare una sera di Natale all'insegna del cinema, Rogue One è adatto per voi, ma un avviso prima della visione: per capire il ritorno di alcuni personaggi, vi consiglio vivamente di guardare la saga ufficiale,specialmente il III e IV, per poi guardare questo "III-B".
"Rogue One chiama A.D."
Sì?
"E' ora di dirlo..."
Ricevuto, Rogue One! Scusate, ma c'era la navicella Rogue One che mi diceva di concludere con un augurio.
Ci sono molti motivi per dire di No alla riforma
costituzionale della legge Boschi-Renzi, intitolata “Disposizioni per il
superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei
parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la
soppressione del CNEL e la revisione del
titolo V della parte II della Costituzione”. Molti
hanno indicato dei motivi politici, altri di contorno; io cercherò di entrare
nel merito del testo della riforma, cercando di esprimere le mie opinioni nel
modo più chiaro possibile.
La prima cosa che si legge è l’equilibrio di genere imposto:
infatti il testo promuove “l’equilibrio tra donne e uomini nella
rappresentanza”, senza considerare il merito delle persone scelte, l’importante
è che siano donne e uomini in egual misura.
Per quanto riguarda la differenza tra Senato e Camera dei
Deputati, quest’ultima è molto più importante del primo; infatti, “La Camera
dei deputati è titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la
funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo
dell'operato del Governo.” Questo significa che ha i poteri della Camera dei
Deputati e del “vecchio” Senato, che era nato per bilanciare le iniziative del
Governo e le funzioni legislative della Camera stessa.
Maria Elena Boschi e Matteo Renzi
Il “nuovo” Senato rappresenta le istituzioni territoriali e
fa da intermediario tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica,
ossia le Regioni, i Comuni e le Città Metropolitane, e l’Unione europea; in
particolare attua le disposizioni europee e verifica l’impatto che esse hanno
sui territori che rappresentano. I senatori sono passati da 315 a 100, 95
senatori scelti tra consiglieri regionali e sindaci e 5 senatori a vita (che in
realtà lo saranno solo per sette anni, ad eccezione degli ex Presidenti della
Repubblica) nominati dal Presidente della Repubblica. Sinceramente, nessuno sa
quante volte i senatori staranno realmente in Senato: lo stesso Renzi, in un
dibattito tv, aveva accennato che si sarebbero potuti riunire una volta al
mese. Ora, perché dovrei volere un Senato che non lavora? E che se lavora lo fa
dopo che tutti gli impegni dei vari senatori sono stati assolti? Infatti,
nessuno dei senatori lascerà il posto di sindaco o di consigliere regionale,
quindi qualcuno ha anche parlato di “dopolavoro”. Senza contare che scelgo,
peraltro limitatamente, dato che mi si dà una lista di nomi precompilata dal
partito che propone i suoi candidati, dei consiglieri regionali e dei sindaci
perché facciano quello per cui li voto, e non perché si occupino di disposizioni
europee. Inoltre ci sarà una girandola di nomine, in quanto questi senatori
restano tali solo finché il loro mandato come consiglieri regionali o sindaci
non scade; quindi durano al massimo cinque anni, ma potrebbero anche andarsene
prima, e venire sostituiti da altri.
La Camera dei Deputati, con il suo regolamento, “disciplina
lo Statuto delle opposizioni”: questo significa che le opposizioni si
comporteranno secondo quanto sceglierà la Camera dei Deputati.
Le leggi che vengono esaminate sia alla Camera che al Senato
sono: quelle di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali,
ma soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni concernenti la tutela
di minoranze linguistiche, referendum popolari e altre forme di consultazione;
quelle che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di
governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane,
nonché le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni; quella
che stabilisce le norme generali, le forme e i termini di partecipazione
dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche
dell’Unione Europea; quella che determina i casi di ineleggibilità con
l’ufficio del senatore; entrambe le Camere si occuperanno anche delle leggi che
determinano o disciplinano: la composizione dei seggi al Senato, l’appartenenza
dell’Italia all’Unione Europea, l’ordinamento di Roma, i casi di autonomia per
le Regioni non a Statuto speciale, le competenze delle Province Autonome di
Trento e Bolzano, gli accordi delle Regioni con Stati ed entità territoriali
all’interno del territorio italiano, l’equilibrio di bilancio, i casi in cui il
Governo si può sostituire agli enti territoriali, le norme sul sistema di
elezione, sull’ineleggibilità e l’incompatibilità del Presidente della Giunta
regionale, degli altri membri della Giunta e dei consiglieri regionali e lo
spostamento dei Comuni da una Regione all’altra. Tutte le altre leggi vengono
approvate solo dalla Camera dei Deputati.
Il bicameralismo paritario si “supera” così: ogni disegno di
legge approvato dalla Camera dei deputati viene immediatamente trasmesso al
Senato che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti,
può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato può
deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera si
pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato non disponga di procedere
all'esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la
Camera si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata.
Quindi il Senato può scegliere di non esaminare le proposte di legge provenienti
dalla Camera; inoltre, se il Senato non riesce a deliberare entro i termini
prestabiliti, la legge viene promulgata lo stesso. La Camera può decidere di
non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato a maggioranza assoluta
dei suoi componenti solo se la maggioranza assoluta dei componenti della Camera
non considera queste modificazioni valide. Il Senato può, infine, secondo
quanto previsto dal regolamento, svolgere azioni conoscitive e formulare
osservazioni su atti o documenti all'esame della Camera dei deputati. A mio
parere, spesso questo ping pong sarà inutile, per quanto più veloce di prima;
la prima stesura prevedeva l’abolizione totale del Senato, questo compromesso è
fatto male e complica le cose.
Il popolo può proporre delle leggi solo se le firmano 150000
persone, tre volte tanto quanto era il limite minimo di prima. Si possono
proporre solo referendum popolari e d’indirizzo; per quelli abrogativi il
limite minimo è 500000, ma può essere approvato solo dalla maggioranza degli
elettori aventi diritto, mentre se si raggiungono le 800000 firme, può essere
approvato dagli ultimi elettori della Camera dei Deputati. Il Parlamento si
impegna a deliberare sulle leggi richieste e ad attuare i referendum.
Come ho già accennato, le Camere riunite possono decidere
sui trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea. In
quanto europeista convinta, voterei No solo per questo spauracchio di una
possibile Italexit. Se uscissimo dall’Unione, finiremmo nei guai: il debito pubblico
ci soffocherebbe, e non avremmo tutti quei privilegi che si hanno in una
federazione di Stati.
La Camera dei Deputati decide da sola sulla legge di
bilancio. E gli enti territoriali rappresentati dal Senato che fanno? Accettano
passivamente le decisioni prese dall’alto?
Per quanto concerne l’elezione del Presidente della
Repubblica, si sfiora il tragicomico. Se prima bastavano tre scrutini massimo
per l’elezione, adesso ne vengono previsti più di sette. Un’elezione infinita,
in pratica, data la lentezza con cui ci si mette d’accordo e con cui si fanno
gli scrutini.
Con questa riforma, il Governo, nel caso richiedesse la
fiducia, può ottenerla dalla sola Camera dei Deputati e non più da entrambe le
Camere. Una cosa che accelererà di sicuro gli iter legislativi, soprattutto se
vengono fatti a colpi di fiducia.
Le Province vengono abolite. Personalmente, credo che le
piccole realtà ne risentiranno parecchio: avere degli organi intermedi tra il
Comune e la Regione era comodo e dava importanza al territorio, distribuendo
equamente le ricchezze; adesso ci si basa sulla densità della popolazione per
quanto riguarda la collocazione di ospedali, scuole e uffici, perciò i Comuni
più grandi e le città metropolitane prenderanno il sopravvento sui Comuni più
piccoli e meno popolati.
Vi è un accentramento da parte dello Stato per quanto riguarda
diverse materie. Vi sono alcune materie su cui non condivido l’accentramento o
che mi lasciano perplessa. Per esempio, lo Stato vuole disciplinare sulle
attività culturali e sul turismo, creando un’immagine nazionale che sia più
competitiva sul mercato internazionale. Niente di più sbagliato: l’Italia è
bella proprio perché è varia, perché le singole realtà locali accontentano
tutte le tipologie di turista, da quello più attratto dall’arte e dalla città a
quello che vuole immergersi nella natura e magari adottare un melo. In casi
come questo, sarebbero state gradite più delle linee generali, nel rispetto
dell’autonomia dei territori che sanno meglio dello Stato cosa è più attraente
e cosa è più conveniente a fini turistici. Inoltre, il fatto che lo Stato
tuteli l’ambiente e l’ecosistema assieme alla produzione dell’energia, mi fa
pensare a una cosa: le trivelle. Oppure, sul connubio tra ambiente e
infrastrutture strategiche, mi vengono subito in mente le grandi opere come il
ponte sullo Stretto di Messina.
Alle Regioni, a meno che non siano quelle a Statuto
speciale, rimane ben poco: la rappresentanza delle minoranze linguistiche, la
pianificazione del territorio regionale e la mobilità al suo interno, la
dotazione infrastrutturale, la programmazione e organizzazione dei servizi
sanitari e sociali, la promozione dello sviluppo economico locale e
l’organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese e della
formazione professionale.
Questi sono i miei motivi per votare No al referendum
costituzionale. Ho saltato i motivi di contorno, come ad esempio il conflitto
di interessi tra la riforma e la legge elettorale, che, a detta di alcuni,
porterebbe a una “deriva autoritaria”.
Ho cercato di non essere troppo di parte, scrivendo commenti personali
sul Presidente del Consiglio e sul Governo. Tengo a tal proposito a precisare
che mi piacerebbe che si votasse non per motivi politici, come mantenere o far
cadere il Governo (cosa che non avverrà comunque, a mio avviso), ma per la
nostra Costituzione, che, ok, non è perfetta, ma poteva essere modificata meno
e meglio. Magari con una riforma più breve e meno complicata, cosa che ha fatto
subito dire ai detrattori che non si poteva leggere né che un cittadino digiuno
di diritto poteva capire. Beh, io, cittadina digiuna di diritto, l’ho capita,
pur con grande difficoltà e con la Costituzione vecchia alla mano. È stato un
lavoraccio, e se non mi avesse aiutato un po’ Superman, che ringrazio, non ne
sarei venuta a capo.
In vista del referendum costituzionale del 4 dicembre amplissimo è stato il dibattito, ma nella vastità di argomenti e premesse che sono state sollevate da ambo le parti, sostenitori del NO e del SI, a mia modesta opinione è cruciale per il nostro Paese la vittoria del SI e il definitivo passaggio della riforma.
Prima di elencare le ragioni che mi inducono a ponderare questa scelta vale la pena sfatare alcuni miti.
A un Parlamento eletto con legge incostituzionale (la legge Calderoli) gli è davvero impedita la modifica della Costituzione? Assolutamente no. È vero, il porcellum è stato sanzionato dalla Consulta, ma gli stessi giudici hanno provveduto a specificare nella sentenza 1/2014 come la stessa pronuncia di incostituzionalità avrebbe prodotto "i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale", ponendo un generale principio di continuità dello Stato, di necessarietà dell'organo e che in nessun modo un Parlamento può "cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare".
La riforma è stata voluta dal Governo e non dal Parlamento? Anche qui, assolutamente no. Le discussioni parlamentari sono state molteplici e protrattesi per due anni, con tre passaggi, sei approvazioni e un voto finale con percentuale superiore al 60%.
Ma veniamo alle ragioni.
La prima delle ragioni riguarda sicuramente il superamento del bicameralismo paritario. Le nostre due camere, Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, hanno i medesimi poteri e funzioni, in ragione di molteplici compromessi tra le forze politiche in seno di Assemblea Costituente. In sede di redazione della Carta, difatti, le sinistre optavano ad esempio per il monocameralismo, in virtù di un principio per cui è unica la sovranità e unica dovrebbe essere la sua rappresentanza istituzionale; democristiani e liberali pensavano ad un Senato di rappresentanza di categorie sociali (economiche, culturali...); mentre repubblicani e laici volevano una Camera che rappresentasse le Regioni italiane. Al momento della scrittura della Costituzione emerse quindi, più che una idea di organicità e omogeneità, un progetto di compromesso tra partiti. E di questo ne risentiamo tutt'ora. Quando la Camera approva un testo e questo passa al Senato, qualsivoglia modifica (anche minima) da questo effettuata, determina un nuovo passaggio del testo al primo ramo e così via finché una delle due camere non si pronunci in via definitiva. Questo fenomeno delle navette determina lungaggini eccessive, su cui talvolta taluni gruppi politici si fanno forza in ragioni di ostruzionismo.
Con il SI, si supera il bicameralismo paritario, le camere si occuperanno finalmente di cose diverse con il Senato espressione delle autonomie, e ci sarà la tanto auspicata, specie dai più demagoghi, riduzione dei senatori (da 315 a 100) a tutto vantaggio della rapidità delle istituzioni. Come si legge dal nuovo articolo 70, il ruolo dei senatori (salvo taluni casi) avrà una funzione solo consultiva e i pareri da questo espressi non saranno il più delle volte vincolanti. Il tutto con tempistiche molto stringenti fissate tassativamente dall'articolo. È importante sottolineare come molti detrattori della riforma sono comunque favorevoli al superamento di questa forma di bicameralismo.
La seconda delle ragioni riguarda il tendenziale fallimento della riforma del 2001 sul federalismo, che ha novoato il Titolo V della Costituzione. Quando venne proposta la riforma in esame ci era stato prospettato che uno spostamento di poteri dal centro verso la periferia, a cascata, potesse migliorare non solo funzionalmente il nostro Paese, ma anche economicamente attraverso un contenimento dei costi. In realtà così non è stato, e l'unica modifica che abbiamo visto è stato un peggioramento ed un acuirsi della burocrazia (specie tra i conflitti di attribuzione). Con il passaggio della riforma gran parte delle materie strategiche (elencate nel nuovo articolo 117) saranno esclusivo appannaggio dello Stato (dai trasporti all'energia), mentre le materie riservate alle Regioni saranno abbastanza residuali.
A questo si assomma l'eliminazione delle Province e le strutture connesse, con tutto il relativo contenimento dei costi.
La terza delle ragioni riguarda l'eliminazione del CNEL su cui non ci dilungheremo troppo, essendo pacifico che la sua soppressione è cosa voluta anche dai sostenitori del NO. In quasi 60 anni ha dato 96 pareri, proposto 14 disegni di legge (sempre ignorati dal Parlamento), decretando la sua scarsa efficienza. Il CNEL è uno di quei residui di una idea corporativista in voga nel dopoguerra, oggi scomparsa, dato che le categorie che dovrebbe rappresentare preferiscono far sentire la propria voce con altri strumenti.
La quarta ragione e direttamente alla terza connessa: l'obbligo del Parlamento di esaminare le proposte di iniziativa popolare. Certo vi si affianca un aumento delle firme necessarie (da cinquantamila a centocinquantamila), ma questo lo si può facilmente risolvere nel fatto che dalla data di fondazione della Repubblica a oggi, il numero dei cittadini italiani è esponenzialmente aumentato. E se a questo aumento corrisponde l'obbligo del Parlamento di diesamina, lo trovo un giusto compromesso.
Stessa cosa per i referendum abrogativi. Le firme necessarie salgono sì da500mila a 800mila, ma il quorum per contrappeso si abbassa: non più il 50%+1 di tutti gli elettori, ma il 50%+1 dei votanti alle ultime elezioni politiche. Uno strumento questo, che sottrae potere ai detrattori delle votazioni popolari che invitavano all'astensione facendosi forza sull'elevato quorum.
La precedente discplina (delle 500mila firme) tuttavia non scompare, ma il discorso in questione, sopra fatto, non vale: il quorum prende a riferimento tutti gli aventi diritto.
Ed infine cito brevemente le ultime ragioni:
1) "l'equilibrio di uomini e donne nella rappresentanza", come sottolineato dal nuovo articolo 55;
2) spariscono i senatori a vita come disposto dal nuovo articolo 59;
3) il fatto che la legge che disciplina l'elezione dei membri della Camera e del Senato saranno sottoposti prima della promulgazione al giudizio della Corte Costituzionale, arginando il rischio di avere testi (come il porcellum) incostituzionali, a regolare un materia tanto cruciale come quella elettorale (vedasi il nuovo articolo 73 e 134);
4) una maggiore stabilità del Governo che potrà chiedere la fiducia alla sola Camera dei Deputati, a favore del sollecito svolgimento delle sue funzioni;
5) la Pubblica Amministrazione improntata a principi di trasparenza per dettato costituzionale, con la modifica dell'articolo 97.
A tutto questo si assomma il contenimento dei costi, su cui tuttavia non mancano dibattiti con le opposizioni: dal mezzo miliardo stimato dal Presidente Renzi, si passa appena ai 70 milioni teorizzati dalle opposizioni, su cui si dovrebbe dedicare un articolo a parte.
Nell'augurio che i votanti ponderino al meglio la propria scelta esulando da ragioni politiche, non resta che aspettare il 4 dicembre per poter conoscere al meglio l'exit referendario.
Ringrazio infine Neifile, senza il quale questo articolo sarebbe stato scritto diversamente.
Un’altra sentenza singolare ha colpito la mia attenzione. Giorni fa il Tribunale civile di Napoli nord ha rigettato parzialmente il
reclamo di Facebook Ireland e dato ragione alla madre di Tiziana Cantone, la
ragazza che si è suicidata il 13 settembre scorso (ne parlo qui, nel post “Diritto
alla vita nonostante il web”: http://formal-mente.blogspot.it/2016/09/diritto-alla-vita-nonostante-il-web.html).
I link, i contenuti e le informazioni relative a Tiziana
dovevano essere rimosse come richiesto da lei stessa, perché non c’era più la
licenza da parte dell’interessata di mostrarli. Tuttavia, il giudice ha accolto
la parte del reclamo in cui Facebook Ireland dichiara che non può togliere in
via preventiva tutti i contenuti e tutte le informazioni caricate sul social
che non corrispondono alla sua politica.
A questo punto la madre di Tiziana si augura che Facebook
collabori alle indagini dando le informazioni di contatto degli account falsi
che hanno aperto le pagine su cui sono stati caricati i contenuti diffamatori e
i commenti offensivi, insomma la gogna mediatica che ha dovuto subire la povera
Tiziana. Dal canto suo, Facebook ha dichiarato di aver accolto la decisione del
tribunale, perché indica che il social network, come gli altri hosting
provider, non è tenuto al monitoraggio preventivo dei contenuti.
In questo contesto, credo che ci sia tanta ipocrisia da
parte di Facebook. Se è sempre pronto a eliminare foto e video di nudo, non
toglie con altrettanta sollecitudine i video dei bulli, per esempio, o i
commenti offensivi. Il caso di Tiziana, poi, è eclatante: ricordo che lei
stessa aveva chiesto, più volte, il diritto all’oblio, e nessun social o sito
ha accolto la sua richiesta. Fuori dal web ci sono tante vite spezzate dalla
potenza di Internet, in cui un contenuto qualsiasi, una volta caricato, rimane
per sempre. E può far male per sempre. Solo gli utenti che l’hanno caricato e
gli hosting provider sono in grado di rimuovere i contenuti, ammesso che la
loro diffusione non li abbia fatti comparire altrove. È un circolo vizioso che
andrebbe spezzato con norme più chiare e più severe.
Nonostante le aspettative della madre di Tiziana sulla
collaborazione da parte di Facebook alle indagini, il social non lo farà mai;
anche perché non può farlo, per via della legge sulla privacy. Su questo
argomento mi trovo combattuta: se è vero che, da un lato, la privacy è
importante e che se Facebook desse le informazioni di contatto di tutti quelli
che hanno denigrato Tiziana non la finirebbe più e per di più si creerebbe un
precedente che minerebbe la libertà di espressione, dall’altro ritengo che, in
un mondo più giusto, i responsabili avrebbero già pagato, quantomeno con delle
sanzioni.
Siamo in un’area grigia nell’uso del web. E purtroppo non ci
si rende mai abbastanza conto di quanto Internet sia potente finché, nel mondo
reale, qualcuno non si fa male o non si toglie la vita.
Eccoci alla rubrica "hot" dedicata al #nudeisnotporn, l'hashtag che ho introdotto nel capitolo precedente.
In questa rubrica, farò una riflessione su argomenti erotici come i film di genere e delle modelle alternative al mondo dell'élite della moda.
Adesso farò un confronto tra Tinto Brass e Russ Meyer, registi maestri del cinema erotico. Tinto Brass è il maggior rappresentante del cinema erotico italiano,mentre Russ Meyer lo è per il cinema erotico americano. Entrambi mostrano uno stile diverso nel creare i loro film e hanno un loro originale punto di vista su come rappresentare l'eros.
Tinto Brass
Russ Meyer
Vedendo alcuni film di entrambi i registi, con tutto il rispetto di Tinto Brass, ma ho preferito di gran lunga lo stile di Russ Meyer, perchè è molto più implicito nel mostrare le nudità delle attrici, rispetto al nostro regista italiano.
Vedendo la versione integrale di Caligola (1979), ho capito perchè Tinto Brass fu sempre soggetto a polemiche da parte della critica cinematografica. Lui rischia di superare il limite che c'è tra l'erotico e il porno, finendo involontariamente nel diventare un pornografo. In molte scene, si vedevano in modo chiaro le parti basse degli attori e delle attrici e poi, alcune scene tagliate erano proprio pornografiche, come una delle donne che lecca il pene finto di un altro uomo, in mezzo a un bordello dell'epoca romana. Già a parlarne così, ho una brutta sensazione che sta tra l'imbarazzo e il disgusto.
In una scena tagliata de La Chiave (1983), che vidi durante uno zapping sul divano su Sky, Stefania Sandrelli mostra al suo amante la sua vagina a gambe aperte e lui tira fuori dalle sue braghe un pene eretto finto e corre verso di lei, sbattendo contro lo specchio. Ricordo bene di aver cambiato subito canale.
Poi, ci sono due scene di Paprika (1991) che, per quanto possano essere visionarie, non le reputo erotiche. La prima riguarda la protagonista che viene sottoposta all'inserimento dello spirale nella vagina (lo spirale è pari al preservativo,per intendersi...), con l'inquadratura diretta verso questa penetrazione. La seconda riguarda sempre la protagonista, una giovane prostituta, che aiuta un cliente a masturbarlo, prendendo con una mano il suo pene finto.
Per quanto Tinto Brass possa essere il maestro del cinema erotico italiano, non rappresenta il mio punto di vista sull'erotismo e nemmeno quello del #nudeisnotporn (forse...).
Ed ora, vediamo Russ Meyer, il maestro del cinema erotico americano. Alcuni critici lo paragonarono addirittura a François Truffaut, altro maestro del cinema internazionale e, nei suoi film, c'è una forma d'erotismo più implicita di quella usata da Tinto Brass. Con Lorna (1964), il suo primo film, bastarono tre scene di nudo parziale della formosa attrice, più la scena del bagno nel lago con lei completamente nuda e il pubblico apprezzava subito ciò che vedeva.
Dopo Lorna, Russ Meyer creerà altri cult erotici che formeranno la "Sexplotation", cioè il fenomeno dei film erotici e pornografici destinati al pubblico, soprattutto per le sale dedicate ai B-Movies e ai cinema porno. I film di Russ Meyer sono i film principali di questa moda degli anni della New Hollywood.
Mentre Steven Spielberg faceva successi con Lo Squalo, Russ Meyer fece, secondo la maggior parte dei critici dell'epoca, il suo capolavoro: Supervixens (1975). Il film presenta una vasta gamma di donne maggiorate formose, un montaggio dinamico ed anche una trama simpatica che eccita il pubblico.
In tutti i suoi film, Russ Meyer mostra una cosa fondamentale: tutte le donne apparse nelle sue opere sono maggiorate formose ed anche curvy che ballano e hanno un carattere ribelle verso gli attori maschili.
Il fatto che vi linki Lorna e Supervixens non è da considerare come una mia mossa tendenziosa per farvi guardare solo Russ Meyer,ma il problema principale sta nel fatto che Youtube censuri i contenuti espliciti ed anche se ve li linkassi, avreste dei problemi a vederlo. In sintesi, sui film di Tinto Brass, se li reperite su Youtube, c'è il divieto ai minori di 18 anni.
Concludo facendovi una domanda che risponderete tramite commento: preferite Tinto Brass o Russ Meyer?
A.D.
P.S: Per sapere di più sul #nudeisnotporn, leggetevi il post precedente, "Il Nudo non è porno - #0".
"Un altro salvataggio, ma non potevate lasciarli morire?" "Mi dispiace sentire che più di qualche profugo si salva. Questa invasione di profughi è la peste del terzo millennio, con la differenza che la malattia è stata sconfitta, questa ce la terremo ad infinitum" "Bisogna eliminare anche i bambini dei musulmani tanto sono tutti futuri delinquenti"
Queste sono solo alcune delle frasi che sono apparse su Facebook sulla bacheca della professoressa F.P., insegnante di inglese del veneziano, che le stanno costando in questi giorni non pochi problemi. Difatti per alcuni studenti e genitori, che hanno per primi sollevato la questione alla preside Annavaleria Guazzieri, le affermazioni che l'insegnante ha lasciato sul suo profilo personale sono troppo poco consone al suo ruolo, chiedendo a gran voce addirittura il licenziamento dal posto di lavoro. Per ora la professoressa ha subito solamente 20 giorni di congedo.
Di certo l'atteggiamento della professoressa è abbastanza discutibile e discriminatorio e come tale da condannare, specie in una società come la nostra, che cerca di ripudiare ogni forma di intolleranza, che si muove in un'ottica di multiculturalismo e che si prospetta come polo democratico e di libertà anche per tutti quei popoli che subiscono giorno dopo giorno le vessazioni della guerra e di regimi dittatoriali.
E di certo, che il MIUR possa valutare se prendere provvedimenti, appare quindi un atto doveroso, anche in ragione del ruolo pubblico che la stessa docente svolgeva presso la Pubblica Amministrazione.
Quanto non ha mancato di sorprendermi è tuttavia l'atteggiamento proprio degli alunni, studenti di un liceo (quindi di età compresa dai 14 ai 20 anni) che mostrano un atteggiamento alquanto bizzarro. Come dagli stessi rilasciato difatti, nell'intervista de Le Iene condotta da Cristiano Pasca, le affermazioni della professoressa sarebbero contrarie al suo ruolo educativo e come tale essi ne auspicano la totale rimozione.
Ora, se tutti questi diciottenni che intervengono (diciottenni, come viene precisato nel servizio) hanno bisogno di un pastore morale tanto forte da chiedere la massima sanzione per un lavoratore dipendente, cioè il licenziamento, per affermazioni che la stessa non ha mai reso in seno alla propria cattedra, ma nello spazio virtuale della sua bacheca Facebook privata, è necessario un totale ripensamento del sistema educativo, scolastico e pubblico del nostro Paese.
Non riesco a capacitarmi: dei ragazzotti di 18 anni, presumibilmente istruiti dato che frequentano un liceo, non hanno davvero coscienza di cosa sia discriminazione e integrazione, e quale sia il risvolto giusto e sbagliato in un fenomeno all'ordine del giorno?
Davvero dei ragazzi che stanno per affacciarsi al mondo del lavoro, e votare le scelte politiche del nostro Paese, hanno ancora bisogno di una guida morale che gli spieghi pedissequamente cosa debbano e non debbano pensare?
Personalmente lo trovo assolutamente ridicolo, una esternazione di indignazione sociale che trova, ora come non mai, nell'idea di amalgamarsi alla massa la propria forza. Corretto è prenderne le distanze, corretto è mostrare un atteggiamento indignato per affermazioni di tale portata, ma completamente fuori luogo è richiamare un presunto ruolo di educatore che ad un professore di liceo compete in modo assai edulcorato, se non quasi per nulla. La personalità di un ragazzo, specie superata la pubertà, è ormai quasi completamente formatasi e ben poco farebbe il ruolo di un docente (nel bene e nel male). Anzi, il più delle volte è atteggiamento comune denigrare ed ignorare per i ragazzi, quanto "il noioso mondo degli adulti" rimbalza loro... professori compresi.
La professoressa deve essere sicuramente richiamata, è giusto che il MIUR indaghi e se ne occupi, ma si tengano distanti da questo percorso che deve essere assolutamente ispirato ad una idea di equità, le farneticazione di chi, privi di personalità, aspettano solo una bandiera da cucirsi in petto e sventolarla in pubblico.
Permettetemi di presentarvi una rubrica a tema erotico, con il titolo che è la traduzione dell'hashtag creato dal fotografo Luca De Nardo, tale #nudeisnotporn, una frase di protesta contro la censura di Facebook per nudità.
L'hashtag creato da Luca De Nardo contro la censura di nudo di Facebook
Luca De Nardo
Ancora oggi, facciamo confusione sulla differenza tra erotismo e pornografia ed anch'io sono d'accordo sul fatto che una modella nuda non sia qualcosa di pornografico, come alcuni pensano. Non intendo parlarvi in modo intellettuale, ma i primi set di nudo risalgono agli Anni '20 e provare imbarazzo nel vedere una donna nuda in foto mi pare un'ipocrisia.
La gente che contesta il nudo come avrebbe fatto l'amore, se odiano il nudo in foto? Hanno copulato coi vestiti? Con tutto il rispetto, ma...se una donna vuole posarsi nuda per mostrare la sua bellezza, perchè vietarla?
Mi sembra del tutto normale vedere una donna nuda, anche se in foto, senza che essa mostri il suo "tempio" a gambe totalmente aperte.
La pornografia è qualcosa che, a mio parere, non piace, dandomi pure la nausea. Che gusto c'è a vedere una donna a fare una fellatio a un uomo che potrebbe avere addirittura un pene finto? Oppure a vedere la penetrazione vista in diretta e in dettaglio con la telecamera?
Non si può paragonare una modella che si posa nuda per un sito internet o per una rivista, con tanto di guadagno, con una pornostar che guadagna facendo cose sconce peggiori di quanto potrebbe fare il nudo. Cioè, il nudo non è roba sconcia, poichè si tratta di una cosa del tutto naturale.
Chiedo ai maschi: quando vedete la vostra donna nuda, cosa fate? Di certo, non la coprite con un lenzuolo, prima di portarla a letto... E poi, c'è anche quella parte di gente che ritiene pornografico pure il lingerie. Ora vi mostro una foto di una modella in lingerie e vediamo che giudizio pensate di darle.
Natasha Legeyda
(Foto di Luca De Nardo)
Se, per voi, questa foto è pornografica, allora io sono Rocco Siffredi in pensione e in andropausa. A parte le patetiche battute: dico davvero...se considerate una modella in lingerie qualcosa che è pari alla fellatio, allora fareste bene a rileggervi l'articolo, oppure a guardarvi qualche film erotico, prima di avere dei pregiudizi.
Non perchè voglio fare il maestrino antipatico (cosa che odio), ma per il semplice motivo che, forse, siete andati in confusione di nuovo col giudicare cosa sia erotico o pornografico.
Segnatevi questa data: 15 dicembre 2016. Quel giorno
comincerà la distribuzione, all’ospedale romano Cristo Re, di piatti gustosi
nella mensa.
Chi è stato in ospedale abbastanza tempo per mangiarci, si
ricorderà senz’altro che i piatti della mensa sono spesso insapori (quando non
sanno di plastica), dai colori smorti e dalle consistenze poco piacevoli;
inoltre le proprietà organolettiche e i valori nutrizionali dei cibi non sono
mantenuti dai metodi di cottura.
Adesso le cose potrebbero cambiare, grazie alla GioService,
società del gruppo Giomi che offre servizi alle strutture sanitarie italiane,
all’Unità di Ricerca dell’Alimentazione e Nutrizione Umana dell’Università La
Sapienza di Roma e allo chef Nicola “Niko” Romito: insieme hanno inventato,
dopo un anno di studi, prove e procedure che permettono di raggiungere
risultati costanti, un protocollo chiamato “IN-Intelligenza Nutrizionale”, che
mette a punto un programma alimentare vario, sano, gustoso, nutriente ed anche
economico, in quanto la standardizzazione dei metodi di cottura attraverso
sette tecniche fondamentali permette di abbattere i costi e migliorare la
qualità dei piatti serviti nelle mense.
Queste tecniche sono: il freddo, con l’abbattimento, una
tecnica di raffreddamento rapido dei cibi che ne permette anche la surgelazione;
il sottovuoto; il trattamento di alcuni cibi, come le verdure congelate, con
una salamoia di sale e zucchero; la cottura a vapore; le basse temperature, con
la refrigerazione; le alte temperature, privilegiando, per quanto riguarda la
cottura in forno, cibi trattati con una sorta di pellicola di olio e amido, che
li mantiene succosi all’interno; il recupero degli scarti per farci brodi e
basi. Ovviamente le cucine dovranno essere dotate della strumentazione adatta e
il personale addetto dovrà avere una formazione adeguata.
Lo chef Niko Romito
L’obiettivo di Intelligenza Nutrizionale è far stare meglio
i pazienti in ospedale, non solo nell’alimentazione, ma anche nella qualità
della vita: infatti, un’alimentazione sana e bilanciata porta ad evitare
aumenti o perdite di peso e una migliore risposta alle cure mediche, nonché a
mantenere la propria dignità come persona, senza essere solo un nome su una
cartella medica.
Se questo progetto avrà successo, potrebbe far applicare gli
standard nutrizionali e di cucina a tutta la ristorazione collettiva, cambiando
per sempre l’idea di mensa che abbiamo oggi: niente più differenze, niente più
squilibri alimentari e niente arbitrarietà in cucina. Dal 15 dicembre potrebbe
cambiare tutto in meglio, per il gusto e per la salute.
Vi presento la mia rubrica dedicata agli youtubers che producono video, fanno raduni a tema e comunicano a distanza coi loro fan. Più che argomentare gli youtubers, per evitare di creare un poema dantesco, argomenterò uno dei loro singoli video, dandone una mia personale riflessione/critica.
Inizio questa rubrica con l'ultimo cortometraggio dei Nirkiop, intitolato "Io Sono Gay". Il corto affronta il tema dell'omosessualità con il loro stile recitativo pacato e molto leggero,senza andare troppo su un contesto che potrebbe essere troppo polemico.
Come per ogni buon video dei Nirkiop,la comicità rappresentata da loro è qualcosa adatto ad un canale per ragazzi e questo corto riesce a dare una riflessione costruttiva sull'omosessualità, attraverso le diverse ipotesi che Nicola Conversa, regista e protagonista del corto in questione, elenca su come un gruppo di persone possa reagire alla dichiarazione di essere gay da parte di un loro membro.
Il corto viene costruito anche in modo "terapeutico", grazie alla fotografia di Marco Da Re (Mr.Blob) che mostra un effetto molto acceso della luce naturale, come se i ragazzi fossero davvero a fare una visita psichiatrica e la luce trasformi la loro stanza in un ufficio della psicologia.
La pecca, purtroppo, sta nel pubblico che ha frainteso il titolo, considerandolo come una dichiarazione reale di Nicola Conversa e allora, la domanda più citata tra i commenti di questo video è proprio: "Ma Nicola è gay oppure no?"
La risposta: Nicola Conversa non è gay!
Da qui, si può notare la loro moltitudine di fan che, nonostante il buon video, si sono preoccupati dell'identità sessuale di Nicola. Leggendo ogni ripetizione di questa richiesta da parte dei fan, sembra che il pubblico veda l'omosessualità come una sorta di virus contagioso da cui star lontani anni luce.
Ogni volta che si parla di omosessualità, si scatena una polemica alla prima parola storta che si fa. Personalmente,a me sta bene che uno sia gay, a condizione di non sbandierarlo con prepotenza come gli etero. I cortei "Arci-Gay" sarebbero da abolire tanto quanto le Sentinelle In Piedi, perchè sono delle manifestazioni arroganti, nonostante siano due generi agli antipodi.
Ma serve davvero una manifestazione per sottolineare la propria identità sessuale? Non credo proprio. I Nirkiop sono riusciti a creare una serie di reazioni imbarazzanti alla dichiarazione di omosessualità di un amico del gruppo e non si tratta di una serie di luoghi comuni, ma di constatazioni vere e proprie.
Sapete cosa? Forse è meglio non farsi troppe paranoie e non vedere sempre l'omosessualità come una malattia contagiosa.
Quando quel tifoso della nazionale di rugby neozelandese aveva steso sotto il suo terrazzo, a Fidenza nel parmense, la bandiera simbolo della sua squadra, gli All Blacks, non avrebbe certo immaginato che decine e decine di telefonate preoccupate avrebbero spinto la polizia a presentarsi sotto il suo appartamento. Perché effettivamente quella bandiera, tutta nera con decori e scritte bianche, era stata scambiata per il vessillo dello Stato Islamico. Gli attentati francesi avvenuti appena pochi giorni prima avevano inasprito il clima, e le interviste rilasciate dai passanti, anche dopo che l'equivoco era stato chiarito, lasciavano trapelare la paura e la tensione di chi si trova a fare i conti con un simbolo di tale portata.
E ribadiamo: era solo un malinteso.
Ben più emblematica è invece la soluzione emersa dalle pagine di una recentissima sentenza svedese (che l'Independent ci riporta qui) sul caso di un giovane 23enne siriano di Laholm nella Svezia meridionale, che ha deciso di fissare quale foto utente del suo profilo Facebook, una sua effige mentre imbraccia una bandiera dell'autoproclamato Stato Islamico di Siria e Iraq. Nessun equivoco stavolta: quella bandiera è proprio quella dell'IS.
Dopo una lunga attività processuale con il coinvolgimento delle forze dell'ordine (che sul ragazzo indagavano da marzo), il giudice si pronuncia con:
la bandiera dell'ISIS non è espressione di intolleranza contro uno specifico gruppo etnico, ma contro tutti, eccenzion fatta per chi fa parte dell'ISIS.
Il novero dei diritti costituzionali svedesi parla chiaro: la tutela si volge verso le minoranze e in presenza di una espressione di ostilità indistinta, che non colpisce cioè singoli gruppi sociali, nulla si può fare. È una sorta di cane che si morde la coda, una piccola empasse della democrazia che crolla usando gli stessi strumenti democratici.
Alle parole del giudice si aggiungono quelle del giovane secondo cui la bandiera non manifesterebbe il suo sostegno all'ISIS, ma sarebbe stata un simbolo dell'Islam per centinaia di anni, che poi lo Stato Islamico ha fatto suo ed abusato. Un po' come la svastica che è passata da simbolo religioso indiano a simbolo di odio della Germania hitleriana. Eppure la legislazione svedese considera tutto quell'unicum della simbologia nazista come espressione di odio, punendolo talvolta anche con la reclusione.
Lo stesso paragone con il nazismo viene sollevato dalla tesi accusatoria sostenuta da Gisela Sjövall. Sostenere il nazismo non vuol dire dopotutto odiare solo il popolo giudaico, ma odiare chiunque non ne sposi le sue affermazioni. Quindi quel corollario su cui si informerebbe la sentenza finirebbe con il crollare, giusto il tempo di documentarsi sulla storia europea e i suoi moti sociali.
In più quella bandiera non è la prima volta che viene fatta propria da gruppi terroristici di matrice islamica. Pensiamo ad Al-Shabab e ad Al-Qaeda. E se in fondo non rappresentasse un simbolo di odio come ribadisce il ragazzo, mi chiedo perché esporre la versione con fondo nero e scritta bianche e non quella al negativo, cioè con fondo bianco e scritte nere? La prima, che tutti noi conosciamo per essere stata rimbalzata dalla propaganda dei radicalizzati, è dopotutto anche nota come la bandiera di guerra dello Stato Islamico (la seconda ha usi di pace). Di suo, nel simbolismo che la stessa richiama, evoca quindi una idea di un certo rilievo.
E infine mi soffermerei appena sulle ripercussioni politiche e sociali che questa sentenza subirà in un paese come la Svezia, dove le tensioni tra la popolazione autoctona e gli immigrati (presenti in misura doppia rispetto che in Italia) sono elevatissime e dove i quartieri islamici tendono sempre più ad isolarsi nelle città. Specie nella misura in cui qualche altro giudice nazionale, in Unione Europea, tenterà di imitare l'esempio del tribunale nordico. A questo punto vale ben sperare che la Corte Europea dia un segno forte in senso negativo.
In un precedente post, ho citato l'ultimo film recente di Star Wars ed ora vorrei parlare dell'intera saga fantascientifica, iniziando con una domanda: perchè le Guerre Stellari sono importanti,quando si discute di cinema in generale?
Non c'è dubbio sul fatto che Star Wars sia un prodotto commerciale, ma il creatore della saga George Lucas non puntava principalmente sul farne un mercato globale.
In un documentario creato nel 1977, anno d'uscita del primissimo film, Lucas parlava delle fonti d'ispirazione per la creazione del film e del significato del Bene contro il Male,inserito nei vecchi film degli Anni '50.
Per capire meglio l'origine di Star Wars, bisogna tornare indietro nel tempo, ai tempi di THX 1138 - L'uomo che fuggì dal futuro (1971). Quello fu il vero esordio di Lucas, che non ebbe un riscontro roseo all'epoca, a causa dell'avanguardia del film in un periodo ancora "in fase di evoluzione".
George Lucas ebbe il vero primo successo con American Graffiti (1973), film che fa da tributo agli anni d'oro americani, cioè il periodo Anni '50/'60, quando Lucas era ancora adolescente e già da quell'anno, era in atto la creazione di Star Wars.
E qui, arriviamo al primo motivo dell'importanza delle Guerre Stellari: ogni film di Star Wars ha un alto budget ed un lungo periodo di lavorazione,di 3/4 anni. Per esempio, il primo film della saga, datato 1977, costò 11 milioni di dollari e ci furono molti problemi nella produzione che ritardarono l'uscita nelle sale cinematografiche americane.
Quando il film uscì, si scatenò qualcosa di fenomenale: sia la critica che il pubblico ammirarono quello che diventerà successivamente il capostipite di una saga rivoluzionaria del cinema, soprattutto, fantastico. Nei mesi successivi alla sua première, su Star Wars vennero creati vari gadget ed oggetti destinati al commercio comune, ma il film di George Lucas non fu il primo ad essere stato classificato come "Blockbuster", cioè un film destinato al pubblico per scopi più commerciali che di critica artistica.
Torniamo indietro di due anni, quando George Lucas fondò lo studio degli effetti speciali "Industrial Light & Magic" e Steven Spielberg creò Lo Squalo (1975). Il film ebbe grande successo a livello di critica e pubblico e poi, fu uno dei primi film destinati alle "Re-release", cioè alle repliche a tempo limitato nelle sale cinematografiche. Inoltre, si manifestò un mercato di oggetti a tema del film, creati in varie forme.
Ora arriviamo al secondo motivo dell'importanza delle Guerre Stellari: la colonna sonora di John Williams! Nei 40 anni d'esistenza della saga di Star Wars, Williams compose varie colonne sonore memorabili, tra le quali, Indiana Jones, saga diretta dall'amico di Lucas, Steven Spielberg. Considerando solo i film di Star Wars e Indiana Jones, John Williams vinse un Oscar (Star Wars), un Golden Globe (Star Wars), 2 BAFTA (Star Wars), 7 Grammy (entrambi), 3 Saturn (entrambi) ed un BMI Film & TV Award (Star Wars), insieme ad altre 22 nomination dei premi citatI: 7 Oscar, 1 Golden Globe, 1 BAFTA, 10 Grammy e 3 Saturn.
Il terzo motivo dell'importanza di questa saga riguarda l'evoluzione della strategia del Sequel: questa strategia commerciale nacque negli Anni '50,con lo scopo di fare delle repliche solo i B-Movies,cioè i film di serie B indipendenti e a basso budget. Per Star Wars, George Lucas, dopo il successo del primo film (per intendersi,oggi sarebbe l'Episodio IV della saga), cominciò a scrivere il seguito intitolato L'Impero Colpisce Ancora (1980).
L'Impero Colpisce Ancora di Irvin Kershner non ebbe le solite critiche del predecessore, avendone addirittura alcune negative. Negli anni successivi, il secondo episodio della storia delle Guerre Stellari venne considerato come uno dei migliori film fantascientifici mai realizzati nella storia del cinema.
Prima de Il Ritorno dello Jedi (1983), George Lucas stava creando un altro personaggio amato tutt'oggi: Indiana Jones. I Predatori dell'Arca perduta (1981) venne diretto da Steven Spielberg, scritto e prodotto dagli stessi di Star Wars, con il loro "compositore di fiducia". Fu un altro enorme successo su entrambe le parti che fece nascere un mercato globale alternativo a Star Wars.
Nel 1983, Il Ritorno dello Jedi di Richard Marquand divise la critica, a causa della sequenza della Battaglia di Endor, dove gli Ewok sconfiggano in modo "ridicolo" le forze imperiali. George Lucas, curatore della sceneggiatura (come nei due predecessori) insieme a Lawrence Kasdan, regista di Brivido Caldo (1981), si difese dicendo che, per quella sequenza, si ispirò alla Guerra del Vietnam, quando i vietcong tecnologicamente arretrati riuscirono ad abbattere gli americani tecnologicamente avanzati.
Purtroppo, questa scena "anti-patriottica" non fu ben accetta dalla critica e la sceneggiatura ebbe solo la nomination al Saturn Award (i primi due predecessori ebbero più fortuna...). Nonostante tutto, tutta la "Trilogia Originale" riuscì a vincere consecutivamente gli Oscar per i migliori effetti speciali.
Dal 1983 in poi, il fenomeno di Star Wars si espanse a livello commerciale, tramite le re-release, l'home-video, i gadget, gli oggetti a tema, i cosplay ed altri generi di strategie commerciali: tutto ciò ha confermato il franchise di Star Wars supportato anche dall'uscita dei sequel di Indiana Jones.
Arriviamo, ora, al quarto motivo dell'importanza di questa saga cinematografica: il confronto tra il Star Wars vecchio, cioè quello che ho analizzato finora e il Star Wars nuovo,noto oggi come la "Trilogia Prequel".
Dal documentario The People vs George Lucas (2010), possiamo notare un filmato datato 1994, cioè quando uno stanco ed annoiato George Lucas, divenuto miliardario coi primi film di Star Wars e Indiana Jones, dichiara in casa sua di creare la sceneggiatura di Star Wars: Episodio I - La Minaccia Fantasma (1999), come se stesse andando in cucina a pelare un intero sacco di patate come Topolino.
Il declino di Lucas avvenne con un'infamante Edizione Speciale uscita nei cinema nel 1997, per il ventennale del primo Star Wars. La Special Edition rovinò la natura della pellicola originale con degli effetti speciali creati alla fine degli anni '90 e si può notare benissimo la differenza tra gli effetti speciali del 1977 e quelli del 1997.
I fan non la presero affatto bene e protestarono contro George Lucas, il quale difese debolmente l'idea di rinnovare a modo suo la Trilogia Originale. E' chiaro che, all'epoca, si fosse montato la testa, dato l'enorme successo commerciale della saga e la Special Edition sottolinea in modo fondamentale il suo irritante egocentrismo.
Vedendo la Special Edition dei film e vedendo la versione originale, direi di stare dalla parte dei fan, perchè chi guarda la Special Edition senza aver mai visto la versione originale, si sentirà confuso, spacciando i nuovi effetti come della roba fatta davvero negli Anni '70. Nel 1977,tale fluidità negli effetti speciali sarebbe stata impossibile.
Dopo questa strategia un po' fallimentare, George Lucas creò Star Wars I, con un cast di attori abbastanza noti, come Liam Neeson, Natalie Portman ed Ewan McGregor. Tutti i fan di Star Wars furono in trepidazione per il ritorno della saga con tanto di regia del suo creatore...per poi uscire dalla sala delusi.
Sempre dal documentario The People vs George Lucas,uno dei fan dichiarò di aver visto tre volte il film e di non aver percepito le stesse emozioni dei tre predecessori. La critica e il pubblico rimasero delusi dal primo episodio di una saga, che doveva essere qualcosa di epico e di emozionante e non qualcosa di apatico e legnoso. Tutti furono unanimi su una cosa: Jar Jar Binks è stato un personaggio utile e mal elaborato, a tal punto che i fan minacciarono di morte l'attore che lo doppiava, Ahmed Best,il quale vinse il Razzie Award per questo ruolo.
Nel 2002, Star Wars cadde nel baratro, con un orrendo e apatico Star Wars: Episodio II - L'Attacco dei Cloni (2002). Questo "sequel del prequel" (altro esempio di questo genere di film è Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan su Batman) subì le critiche più negative da entrambe le parti. Decisamente, la maggioranza considera questo episodio come il peggiore della saga.
Nel mentre,Star Wars era già diventato un franchise a livello globale,con l'uscita di videogiochi ispirati ai film e rinnovati nel corso degli anni e nell'avanzare delle console videoludiche. Essi furono prodotti dalla LucasArts, la produzione videoludica di George Lucas che, oggi, lavora per la Disney.
Tre anni dopo,il pubblico e la critica rimasero soddisfatti della buona riuscita di Star Wars: Episodio III - La Vendetta dei Sith (2005), che "paraculava" molto bene la pigrizia evidente nei suoi due predecessori. Alcuni critici ritennero questo sequel che si collegava alla "Trilogia Originale" quasi al pari de L'Impero Colpisce Ancora.
Dopo il 2005, Star Wars continuò ad esistere tramite vari videogiochi: la maggior parte furono a tema Lego. Credo proprio che non serva descrivervi cosa siano i Lego. Per quasi un decennio, non si parlerà di un nuovo sequel su Star Wars per il cinema, finchè la Disney non comprò la LucasArts. Siamo nel 2012, quando la Disney trattò con George Lucas per l'acquisizione della LucasArts e di una parte delle azioni finanziarie della Lucasfilm.
Nel 2013, venne annunciato Star Wars: Episodio VII - Il Risveglio della Forza (2015) e George Lucas venne messo da parte, per far spazio a un altro regista avanguardistico, ovvero, J.J.Abrams. L'anno dopo, viene annunciato il compositore della colonna sonora, cioè, il veterano John Williams. Con questo settimo capitolo, la storia si collega grazie al ritorno di Harrison Ford e Carrie Fisher nei panni rispettivi di Han Solo e Leia Skywalker.
Finalmente, nel 2015, esce il primo componente della "Trilogia Sequel", scatenando un riscontro altamente positivo da parte di critica e pubblico, pari alla "Trilogia Originale". Il film rinnova tutto,partendo dal cast composto da nuovi attori esordienti come Daisy Ridley,John Boyega e Adam Driver. Tutti e tre hanno ricevuto dei riconoscimenti per le loro intepretazioni, oltre a Harrison Ford, il quale vinse il Saturn Award come miglior attore protagonista.
La "Trilogia Sequel" conferma un completo rinnovamento della saga, grazie alle nuove atmosfere create da un nuovo staff di produzione potenziato dagli aiuti finanziari della Disney e dal supporto della vasta comunità mondiale dei fan che diedero degli spunti per la creazione del film. Il buon riscontro del film lo si può notare anche da un invidioso George Lucas che disprezzò questo nuovo episodio, causando la rabbia dei fan, accusandolo di boicottaggio, solo perchè non era lui a scriverlo e dirigerlo.
Il quinto e ultimo motivo dell'importanza delle Guerre Stellari riguarda l'interesse a livello di studio e dell'interesse della gente sulla saga: alcuni libri di studio citano il primo Star Wars (1977) come il film che conclude il periodo cinematico della New Hollywood. La New Hollywood durò dal 1967 al 1977, dividendo vari film usciti in quei dieci anni precisi tra quelli di Sinistra, controculturali come Easy Rider di Dennis Hopper (1969) e quelli di Destra, che trasmettono la nostalgia dei film della Hollywood Classica, come L'Inferno di Cristallo di John Guillermin (1974), film con musiche di John Williams nominate all'Oscar dell'epoca.
Un libro di studio che approfondisce il tema della New Hollywood
Star Wars, nei suoi 40 anni della sua esistenza, ha formato una comunità mondiale di fan, attirando milioni di persone, dai più piccoli ai più grandi. Molti fan diventano cosplayers, travestendosi dai personaggi che amano di più: tuttora, possiamo trovare dei fan travestiti da tutti i personaggi principali della saga,persino la versione sexy di Leia Skywalker catturata e resa schiava da Jabba The Hutt, ne Il Ritorno dello Jedi.
Un gruppo di ragazze che posano con il loro cosplay dedicato a Leia Organa nella versione sopracitata
Star Wars rimane una delle saghe cinematografiche più citate ed imitate nel mondo del cinema fantascientifico,se non la più di tutte ed anche Groucho Marx, nel numero 171 di Dylan Dog di Claudio Chiaverotti (2000) cita Guerre Stellari e, se non vi dispiace, vorrei concludere così questo mio lungo pensiero su quanto possa essere importante per vari motivi la saga delle Guerre Stellari...
Groucho Marx cita la famosa frase di Guerre Stellari a modo suo
...No, sto scherzando, preferisco concludere in un modo più elegante, mostrandovi la conduzione del tema principale di Star Wars di John Williams, condotto dal direttore d'orchestra che ha eseguito le musiche dell'apertura e della chiusura dell'ultimo film recente della saga: Gustavo Dudamel.
A presto.
E...
Che la Forza Sia Con Voi!!!
A.D.
P.S: Tutto il materiale video è stato tratto da vari canali di Youtube.
Nel primo episodio di "A proposito di videogiochi", la redazione di FormalMente ha deciso di inserire l'immagine di un Pikachu che camminava guardando il telefono, dal momento che il mio discorso aveva preso come primissimo spunto il polverone scatenatosi dopo le controversie e soprattutto gli incidenti stradali la cui causa è attribuita all'utilizzo di Pokémon GO.
Sinceramente, non ero del tutto favorevole all'utilizzo di quell'immagine, non solo perché il fulcro di quel post non era Pokémon GO, ma anche e soprattutto perché questo titolo merita in un certo senso la nomea di PIAGA DEL GAMING.
Ma andiamo con ordine, proponendo prima di tutto alcune considerazioni importanti per poter intrattenere una riflessione pertinente su questo gioco.
In principio, era il pesce d'aprile. Pare infatti che il primo aprile 2014, una collaborazione tra Nintendo e Google ha dato origine alla Pokémon Challenge, un evento limitato nel tempo durante il quale, nell'arco di quella specifica giornata, sarebbe stato possibile cercare e catturare dei Pokémon cercandoli in giro per la mappa globale di Google Maps.
Non sono riuscito a trovare prove certe che questa "caccia" abbia effettivamente avuto luogo, ma una cosa è certa: l'idea doveva essere piaciuta, se è vero che Tzunekazu Ishihara, presidente della The Pokémon Company, ha pensato che valesse la pena di investire su un progetto che perpetuasse l'esperienza di questa curiosa Challenge.
Ishihara infatti era fan di Ingress, una particolare applicazione per smartphone prodotta da Niantic Labs che utilizzava un innovativo sistema di gioco, vale a dire la realtà aumentata geolocalizzata, grazie a cui era possibile trasformare il mondo intero in uno sconfinato terreno di gioco.
Dopo un ragionamento semplice come un 2 più 2, Ishihara capì che lo "scherzo" della Pokémon Challenge poteva diventare una proficua realtà, e per fare ciò sarebbe bastato che la Niantic realizzasse un reskin di Ingress, producendo cioè una app che ne ricalcasse la struttura di base e che proponesse come scopo del gioco la ricerca dei Pokémon nel mondo reale, sempre sfruttando una mappa del mondo, probabilmente quella di Google Maps, e il localizzatore satellitare dei nostri smartphone.
Voglio a questo punto spiegare in breve come è stato realizzato Ingress. La Niantic, questa pionieristica software house nata all'interno di Google, aveva contrassegnato sulla mappa del mondo con la quale è stato sviluppato Ingress qualche decina di migliaia di luoghi di interesse sparsi sulla mappa del mondo, trasformando questi luoghi in zone in cui gli utenti di Ingress potessero interagire con il gioco, fare la propria mossa e, perché no, incontrare altri giocatori. Non più dunque un gioco mobile che vivesse nelle tasche dei giocatori e che viaggiasse con loro, bensì che facesse viaggiare i giocatori alla ricerca di zone adibite al gioco.
Cosa c'è di nuovo in Pokémon GO rispetto a Ingress? Oltre ad avere riutilizzato i punti di interesse già presenti su Ingress, la Niantic è ricorsa a un espediente ben noto ai giocatori della serie Pokémon, cioè la casualità degli incontri con i mostri che il giocatore vuole catturare, una caratteristica che è stata trasportata dal contesto delle console portatili Nintendo a quello degli smartphone e della pubblica strada; è all'aria aperta infatti che l'utente di Pokémon GO è chiamato a muoversi mentre gioca, facendo cadere di tanto in tanto l'occhio sul telefono nel caso ci fosse un Pokémon da catturare nei paraggi, con tutti i rischi di incidenti stradali che tutti conoscono e che in effetti non sono mancati.
Dove voglio arrivare con questo discorso?
È presto detto: se è vero che diverse altre major dell'industria videoludica vogliono investire sulla realtà aumentata geolocalizzata per realizzare un loro gioco, personalmente non ho nulla in contrario, ma vanno tenute a mente tre cose per non far diventare questo sistema di gioco qualcosa di scadente ed estremamente discutibile.
Prima di tutto, Pokémon GO non è diventato un fenomeno di massa per via del suo sistema di gioco innovativo.
Certo è fantastico che un videogame, una forma di intrattenimento che da sempre rinchiude in casa i suoi utenti, per una volta porti invece i giocatori fuori di casa, ma va fatto notare che anche Ingress funzionava alla stessa maniera e non ha avuto affatto lo stesso impatto mediatico di Pokémon GO.
In altre parole, è il brand che fa la differenza. La maggior parte dei giocatori di questa app ha semplicemente goduto della gratuità di questa versione del suo videogioco preferito e nulla più. E a dirla tutta, dubito che i giocatori di Pokémon GO abbiano mai sentito parlare di Ingress, un gioco che, per quanto più complesso sotto certi aspetti, è ritenuto decisamente più interessante e profondo del suo successore.
Quanto dirò ora non piacerà agli sviluppatori indipendenti, a cui rivolgo tutta la mia solidarietà, ma, di fatto, la realtà aumentata nei videogiochi, per mantenersi in pista e regalare soddisfazioni a livello commerciale, probabilmente sarà costretta a mettere sempre, ai videogiochi creati con questo sistema, un nome famoso, un brand che ha già fatto record di vendite, qualcosa che, come Pokémon GO, faccia dire a tutti spontaneamente:"Lo voglio!".
Senza questo, anche questa rivoluzione del gaming è destinata a trasformarsi in un fuoco di paglia.
In secondo luogo, il CodaCons e altri enti e associazioni hanno chiesto di bandire Pokémon GO in Italia, soprattutto per via dei fatti avvenuti anche sulle nostre strade a causa di questa app.
Il dramma che sta alla base di questo infausto e disastroso binomio tra videogioco e incidenti stradali va ricercato, come abbiamo già accennato, nella casualità con cui i Pokémon compaiono sul telefono. Il gioco stesso invita a più riprese ad essere vigili sull'ambiente circostante, ma a quanto pare l'eccitazione della caccia a questi mostriciattoli è troppa.
La soluzione a questo problema in realtà si troverebbe nei cari vecchi Game Boy, dove la caccia dei Pocket Monsters era delimitata solo a certe zone circoscritte del mondo di gioco.
Basterebbe (anche se mi rendo conto che la mole di lavoro per svolgere questa operazione sarebbe immensa) fare la stessa cosa su Pokémon GO, cercando cioè di confinare le zone in cui andare a caccia lontano dalle carreggiate, regalando forse un gioco meno esplorativo, meno "on the road", ma più sicuro.
Infine, bisogna rendere conto del fatto che la realtà aumentata geolocalizzata su cui si basa il gioco si è rivelata anche piuttosto invasiva nel mondo reale, al punto da spingere talvolta i giocatori ad effettuare delle vere e proprie violazioni di domicilio per raggiungere i Pokémon situati all'interno di proprietà private.
Per non trasformare la realtà aumentata in un'incomoda rottura di scatole, mi preme sottolineare che se da un lato il successo di Pokémon GO ha portato gli utenti di questa app a richiedere alla Niantic di contrassegnare tanti nuovi luoghi di interesse dove poter giocare, dall'altro sarebbe bene che chi svilupperà queste app si mostri disponibile anche verso chi non vuole che in una certa zona, come una proprietà privata, un terreno agricolo o altro, si introducano dei giocatori di Pokémon GO o di altri giochi simili. Per quanto possa essere forse ingiusto nei confronti di chi in fondo sta solo giocando e non sta facendo niente di male, è nel diritto di chiunque poter disporre di un repellente anti Pokémon nelle aree di propria competenza.
Su questa controversa app, per approfondire esaurientemente l'argomento, occorrerebbe istituire una rubrica a parte, ma non è mia intenzione.
Vi lascio con un video di Fraws del canale YouTube di "Parliamo di Videogiochi" che affronta il fenomeno di Pokémon GO confrontandolo con Ingress e vi saluto con un'ultima considerazione: per via della novità rappresentata dal boom della realtà aumentata, abbiamo assistito a una rivoluzione del gaming come lo abbiamo sempre conosciuto, però la tentazione di dire "Pokémon GO non è un gioco" ce l'ho, e non solo in quanto gioco "diverso" ma anche perché molto controverso per le ragioni spiegate finora.
Spero siano dunque chiare le ragioni che mi portano a considerare la realtà aumentata e il suo enorme successo a partire da Pokémon GO come una piaga del mondo videoludico e mi auguro che anche chi in futuro vorrà trasformare il mondo in un terreno di gioco lo faccia con giudizio e non solo pensando al proprio guadagno personale.