giovedì 29 settembre 2016

A proposito di videogiochi - Appunti sulla fuga dalla realtà

Voglio riprendere la riflessione sui videogiochi partendo da una domanda:

Quale medium, sia esso audiovisivo o semplicemente visivo come un'opera d'arte figurativa o come una qualsiasi forma di comunicazione scritta, come un libro, una rivista o addirittura questo stesso blog, quale tra questi medium non pone come condizione fondamentale per una fluida comunicazione la totale attenzione del fruitore di tali media?

Eppure, nessuno di noi potrebbe definire chi legge un libro, chi guarda un film o chi fruisce di una delle succitate forme di comunicazione come un nerd, come qualcuno che si isola dalla realtà, o perlomeno, nessuno esprimerebbe un simile "giudizio" a prescindere, solo basandosi sulla natura del medium a cui espone la propria totale attenzione.

È esattamente quello che purtroppo avviene da sempre nel mondo dei videogiochi.

Immagine tratta dalla pagina Facebook di multiplayer.it

Dopo aver esaminato, nello scorso episodio, le dinamiche della dipendenza dai videogiochi, oggi la riflessione si sposterà sul problema della fuga dalla realtà che ANCHE questo medium rappresenta.

Tale fuga, in effetti, è una condizione fondamentale di qualsiasi medium, come si è accennato all'inizio. Non esiste una forma di comunicazione che non preveda la chiusura, o meglio la focalizzazione in un'unica direzione, dei nostri canali ricettivi. È possibile leggere un solo libro alla volta o guardare un solo video alla volta. Quando esponiamo la nostra attenzione a un medium, soprattutto se questo richiede l'utilizzo della vista per essere fruito, stiamo temporaneamente distaccando in qualche misura i nostri sensi dalla realtà circostante in favore del contenuto veicolato dal medium a cui siamo esposti.

Quella che chiamiamo fuga dalla realtà altro non è che una esplorazione di un'altra realtà, sia essa il contenuto di una narrazione, un fatto di cronaca letto su un giornale, leggere un'argomentazione su un blog, o magari la semplice visione di un'immagine.

Lo spauracchio che sembra colpire i videogiochi e che arriva ad identificare la fuga dalla realtà come una loro caratteristica esclusiva e perlopiù prodiga di rischi per i giovani riguarda non solo la loro funzione di medium esclusivamente rivolto all'intrattenimento (e come tale ritenuto futile, superfluo, comunque non necessario), ma anche ai contenuti tipici dei videogiochi e alle dinamiche specifiche del videogiocare.

Innanzitutto, stiamo parlando di un passatempo che richiede, per essere utilizzato al meglio, una interazione costante da parte del fruitore. L'attività ludica in genere richiede una continua partecipazione di chi vi prende parte, e i videogiochi di fatto altro non sono che una materializzazione di attività ludiche più o meno originali, create, o meglio sviluppate, per poterle distribuire sotto forma di prodotto videoludico attraverso un supporto informatico, che può essere un cd, un DVD, o anche una cartuccia elettronica da inserire in una console.

È forse proprio la natura propria dei videogiochi di "media interattivi" a spaventare l'opinione pubblica, o perlomeno, di quel pubblico che non si è mai avvicinato a questo mondo abbastanza da poterlo capire.

Di fatto, non esistono altre forme di comunicazione che, come i videogiochi, pongano come condizione fondamentale per essere utilizzato l'interazione tra l'utente e il medium stesso. Un libro non muta forma durante la lettura, come un film non cambia durante la visione, mentre un videogioco ha come statuto il continuo divenire, ovvero il costante progresso del gioco verso un risultato finale.

Ma di fatto, cosa c'è di male nelle dinamiche proprie del videogioco, al suo renderci cioè sempre di più protagonisti di una realtà alternativa? Davvero spaventa così tanto questa idea che immergersi in queste realtà virtuali possa intrappolare una giovane mente, come in una sorta di Matrix, o peggio ancora, che possa far confondere qualcuno al punto da mescolare videogioco e realtà?

In realtà, il vero motivo per cui questa fuga allarma gli adulti non giocatori va casomai identificata come una mera paura dell'ignoto, e ci tengo a far notare che alle orecchie di un giocatore questo presupposto ha li sapore dell'impertinenza. Ogni volta cioè che si accende lo scontro tra chi ama giocare e chi non può vedere manco lontanamente un videogioco, da una parte, spesso, c'è un adulto completamente ignorante in materia e che vuole rimanere tale e un giovane che nei videogiochi ripone gli stessi sentimenti che ha un lettore nei confronti del suo romanzo preferito o uno spettatore verso il film che ama di più, e ogni volta vede trattare l'oggetto della sua passione come qualcosa di irrevocabilmente stupido. Avete idea di quanto possa essere frustrante sorbirsi ogni maledetta volta questo tipo di pregiudizi da chi ti ha messo al mondo?

Vorrei proporre a questo proposito una semplice riflessione sui rischi rappresentati da questo tipo di evasione: anche respirare, se fatto in maniera sbagliata, può essere pericoloso. Respirare troppo velocemente porta all'iperventilazione, respirare aria inquinata non è sano. Lo stesso vale per i videogiochi.

Esaurire tutti gli aspetti che riguardano i videogiochi come fuga dalla realtà trovo che sia un'impresa disperata, ragione per la quale sarei molto felice di approfondire il tema di questo post, più che in un futuro episodio, nei commenti qui sotto. E la domanda con cui vi lascio oggi è: perché dovrebbe essere immorale o comunque sbagliato disporre di uno strumento in grado di farci fuggire per un attimo dalla realtà?

Discutiamone nei commenti.

see ya
rising dark sun

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