Come è noto, il 22 settembre ci sarà il Fertility Day, il
Giorno della Fertilità, ossia una giornata nazionale dedicata alla
sensibilizzazione alla procreazione.
Oltre ad essere offesa dalle cartoline che il Ministero
della Salute ha pubblicato all’interno di una campagna mediatica quanto mai
inopportuna per promuovere questa giornata, sono basita dalla superficialità
con cui questo tema viene trattato.
Slogan come “La fertilità è un bene comune” o immagini di
donne con la clessidra accompagnate dalla scritta “La bellezza non ha età. La
fertilità sì” hanno urtato la sensibilità di un’intera generazione, la stessa
generazione che doveva essere invogliata a fare figli dalla suddetta
pubblicità. Proprio quei giovani che dovrebbero diventare genitori perché,
suggerisce il ministro Lorenzin, è “il miglior modo per essere creativi”.
Questi sono solo tre esempi.
Nelle 137 pagine di cui è composto il “Piano nazionale per
la Fertilità”, si può leggere, sin dalla prima pagina, che tra gli obiettivi
che il Ministero della Salute si prefigge attraverso il Piano stesso, è di operare un capovolgimento della mentalità
corrente volto a rileggere la Fertilità come bisogno essenziale non solo della
coppia ma dell’intera società, promuovendo un rinnovamento culturale in tema di
procreazione e quindi di celebrare
questa rivoluzione culturale istituendo il Fertility Day, Giornata Nazionale di
informazione e formazione sulla Fertilità, dove la parola d’ordine sarà
scoprire il “Prestigio della Maternità”. Prestigio che ha un retrogusto di
mentalità fascista, di un periodo in cui venivano premiate le madri che
facevano più figli in quanto aiutavano l’Italia ad andare avanti.
Se dal punto di vista della formazione dei medici e della
divulgazione nelle Università e nelle scuole delle giuste informazioni sulla
procreazione non vedo niente da eccepire, anzi trovo l’iniziativa encomiabile,
d’altro canto non capisco i motivi per cui creare una campagna così aggressiva.
Per esempio, si legge nel piano il seguente punto:
L’attuale denatalità mette a rischio il welfare. (…)
l’Italia è uno dei Paesi europei con i più bassi livelli di natalità. Questo
determina un progressivo invecchiamento della popolazione. La combinazione tra
la persistente denatalità ed il progressivo aumento della longevità conducono a
stimare che, nel 2050, la popolazione inattiva sarà pari all’84% di quella
attiva. Questo fenomeno inciderà sulla disponibilità di risorse in grado di
sostenere l’attuale sistema di welfare, per effetto della crescita della
popolazione anziana inattiva e della diminuzione della popolazione in età
attiva.
Tutto giusto, ministro Lorenzin. Ma c’è un dettaglio che le
sfugge: l’attuale denatalità è dovuta anche all’attuale sistema di welfare,
quello che fa ricadere la cura dei più giovani, dei più deboli e dei più
anziani sulle donne, quelle stesse donne che magari lavorano e dovrebbero pure
procreare, ma non possono farlo perché altrimenti rischiano di perdere il posto
di lavoro o comunque potrebbero non guadagnare durante la maternità. In queste
situazioni di precarietà anche dei (futuri) padri e di mancanza di aiuti
concreti ad affrontare la messa al mondo di nuovi esseri umani, mantenere figli
e al contempo badare a genitori anziani e malati può essere problematico. Ci
vorrebbe più assistenza e meno propaganda; vedrà, ministro, che così i nuovi
nati arriveranno.
Neifile
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