venerdì 2 settembre 2016

Del prestigio della Maternità e altre cose superficiali

Come è noto, il 22 settembre ci sarà il Fertility Day, il Giorno della Fertilità, ossia una giornata nazionale dedicata alla sensibilizzazione alla procreazione.

 Oltre ad essere offesa dalle cartoline che il Ministero della Salute ha pubblicato all’interno di una campagna mediatica quanto mai inopportuna per promuovere questa giornata, sono basita dalla superficialità con cui questo tema viene trattato.

Slogan come “La fertilità è un bene comune” o immagini di donne con la clessidra accompagnate dalla scritta “La bellezza non ha età. La fertilità sì” hanno urtato la sensibilità di un’intera generazione, la stessa generazione che doveva essere invogliata a fare figli dalla suddetta pubblicità. Proprio quei giovani che dovrebbero diventare genitori perché, suggerisce il ministro Lorenzin, è “il miglior modo per essere creativi”. Questi sono solo tre esempi.



Nelle 137 pagine di cui è composto il “Piano nazionale per la Fertilità”, si può leggere, sin dalla prima pagina, che tra gli obiettivi che il Ministero della Salute si prefigge attraverso il Piano stesso, è di operare un capovolgimento della mentalità corrente volto a rileggere la Fertilità come bisogno essenziale non solo della coppia ma dell’intera società, promuovendo un rinnovamento culturale in tema di procreazione e quindi di celebrare questa rivoluzione culturale istituendo il Fertility Day, Giornata Nazionale di informazione e formazione sulla Fertilità, dove la parola d’ordine sarà scoprire il “Prestigio della Maternità”. Prestigio che ha un retrogusto di mentalità fascista, di un periodo in cui venivano premiate le madri che facevano più figli in quanto aiutavano l’Italia ad andare avanti.

Se dal punto di vista della formazione dei medici e della divulgazione nelle Università e nelle scuole delle giuste informazioni sulla procreazione non vedo niente da eccepire, anzi trovo l’iniziativa encomiabile, d’altro canto non capisco i motivi per cui creare una campagna così aggressiva. Per esempio, si legge nel piano il seguente punto:

L’attuale denatalità mette a rischio il welfare.  (…) l’Italia è uno dei Paesi europei con i più bassi livelli di natalità. Questo determina un progressivo invecchiamento della popolazione. La combinazione tra la persistente denatalità ed il progressivo aumento della longevità conducono a stimare che, nel 2050, la popolazione inattiva sarà pari all’84% di quella attiva. Questo fenomeno inciderà sulla disponibilità di risorse in grado di sostenere l’attuale sistema di welfare, per effetto della crescita della popolazione anziana inattiva e della diminuzione della popolazione in età attiva.

 Tutto giusto, ministro Lorenzin. Ma c’è un dettaglio che le sfugge: l’attuale denatalità è dovuta anche all’attuale sistema di welfare, quello che fa ricadere la cura dei più giovani, dei più deboli e dei più anziani sulle donne, quelle stesse donne che magari lavorano e dovrebbero pure procreare, ma non possono farlo perché altrimenti rischiano di perdere il posto di lavoro o comunque potrebbero non guadagnare durante la maternità. In queste situazioni di precarietà anche dei (futuri) padri e di mancanza di aiuti concreti ad affrontare la messa al mondo di nuovi esseri umani, mantenere figli e al contempo badare a genitori anziani e malati può essere problematico. Ci vorrebbe più assistenza e meno propaganda; vedrà, ministro, che così i nuovi nati arriveranno. 

 Neifile



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