sabato 3 settembre 2016

Satira e black humor ai tempi di Charlie Hebdo

Da quando Charlie Hebdo è tristemente salito sugli spalti della critica internazionale, l'occhio sui suoi editoriali satirici non è più mancato. E più volte,  da quelle celebri caricature su Maometto, le sue vignette sono arrivate anche in Italia, sebbene qui non venga ancora pubblicato. Una sorta di vox populi sospinta talvolta dallo sdegno, talvolta dall'indignazione, talvolta (seppur pare raramente) dal gusto comico.
Stavolta, tra quelle possibili copertine, poi scartate dal giornale, che vengono raggruppate alle ultime pagine, una vignetta ironizza sul sisma che tra il 23 e il 24 agosto, ha divelto il centro Italia: il sangue come sugo di pomodoro, le vittime tra le macerie come lasagne, mentre troneggia sul frontespizio "Sisma all'italiana", come fosse una sorta di ricetta.
Il moto di sdegno non è mancato, il pessimo gusto che colora l'immagine è palese, innegabile, ma non fa altro che ricadere in quel filone, molto prolifico oltreoceano, dell'umorismo nero, meglio noto come black humor.




In Italia, in tv, è un genere ben poco commerciale. I palinsesti vengono perlopiù riempiti da spettacoli di cabaret di basso livello, dove l'uso del tormentone, del travestimento, e del politicamente corretto sono predominanti. Dove invece è molto popolare, è su internet, su Youtube ad esempio, dove qualcuno prova a caricare gli spettacoli di personaggi come Jim Carr o Frankie Boyle, capaci di spaziare e rompere i tabù e i legacci che la società ha verso certi argomenti sacri.
È un po' quello che Daniele Luttazzi chiamava a teatro "sfottò fascistoide": quello che scherniva la vittima e che si poneva alla destra del più forte, del cattivo, o anche solo del male in persona.
Il gusto dell'umorismo nero è palese: è la forza dello shock che incute al pubblico, che si trova magari a ridere di qualcosa di truce, o malsano, dato che quella stessa forza riflessiva che dovrebbe invece dare ogni volta la satira, non è sempre presente.

"Umorismo" è quella capacità di mettere in relazione gli aspetti di incongruenza della realtà, e l'umorismo nero, in quanto umorismo ne rispetta le regole. Non si fa altro che legare (usando i più vari espedienti comici) due elementi, due situazioni, prive di qualsiasi nesso, ma che l'arguzia dell'autore collega, grazie anche al più piccolo quid. Nella vignetta in questione, come in battute dal gusto black, lo schema viene mantenuto integro, ma tra quegli elementi di connubio ecco che figura un tema, nella cui scala di valori riconosciuti dalla società, occupa un posto importante: come la malattia e la disabilità, come la guerra, l'olocausto, la morte, l'incesto, il cannibalismo e ovviamente le catastrofi naturali.
La battuta di Charlie Hebdo si avvale di questi elementi parossistici, ma punta direttamente a colpire una intera ingegneria fatta di appalti truccati, di corrotti che risparmiano sui materiali su cui non si dovrebbe risparmiare. Non è solo black humor, ma si fonde nella satira, mirando a una intera classe politica collusa. E ciò anche se l'aspetto satirico emerge solo indirettamente, anche (come molti ricusano ai vignettisti) lanciando il messaggio passando per le vittime. E questo stesso significato ci arriva ancora maggiormente, con una seconda vignetta che viene pubblicata su Facebook, dopo l'orda di indignati che attaccano la pagina.
Quell'aspetto di relazione che volge a collegare due elementi incongruenti, come abbiamo definito prima "umorismo", permane. Certo, si fa forte dello stereotipo, ma non si può non constatare come lo stereotipo non sia sempre un espediente negativo: specie nel momento in cui si dileggia e si auto ridicolizza.

È forte nel suo messaggio? Forse no, non è immediato. È di cattivo gusto? Secondi i canoni sociali, sì lo è. Ma vorrei usare le parole che Ricky Gervais, noto comico e attore inglese, disse durante un'intervista alla radio SiriusXM:
"I sempliciotti trattano le battute sulle cose brutte, con la stessa riverenza e disgusto con cui le persone intelligenti trattano le cose veramente brutte. Queste cose non sono mai collegate. L'umorismo serve a questo, a farci superare le cose brutte, e se non puoi fare battute sulle cose di merda, non c'è alcun motivo per farle sulle cose belle. Sono cose felici, fanno già stare bene, non ne abbiamo bisogno. È come se la risata fosse un farmaco che cura le cose brutte."
Non posso che trovarmi d'accordo. È la stessa cosa che penso anche io.

Dovrebbe infine la satira, castrarsi e censurarsi? Rispondo con le stesse parole che Enrico Mentana, usa sulla sua pagina ufficiale:
"la satira esiste e può vivere solo nelle società democratiche, che hanno in sé l'unica vera forza limitatrice della satira cattiva: il mercato."
Si può scherzare su tutto? Questo è quello che trapela, ovviamente. Fare satira è un diritto costituzionale di ogni paese civile, un corollario della libertà di espressione, come quando chi urlava #JeSuisCharlie non mancava di sostenere. La critica non ferma chi fa satira... la satira non ferma chi la critica.

- Superman

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