lunedì 19 settembre 2016

A proposito di videogiochi

Riflessioni su credenze e chimere
intorno a un medium... infantile?

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Quanti di noi sanno cos'è Pokémon GO?


Beh, nella remota possibilità che non ne abbiate sentito parlare, trattasi del gioco per smartphone che ha maggiormente fatto parlare di sé in Italia e nel mondo, nel bene e nel male, non solo per via del suo enorme successo e del suo innovativo sistema di gioco, ma anche, purtroppo, a causa di vari fatti di cronaca riguardanti diversi incidenti stradali causati dall'utilizzo di Pokémon GO che hanno coinvolto talvolta utenti distratti del gioco che non guardavano dove andavano e talaltra autisti sciagurati che giocavano alla guida.

Tutto questo polverone ha riacceso il dibattito sui videogiochi a livello popolare, portando questo tema anche sulla lingua di chi non ne sa niente ma si sente di voler comunque esprimere un giudizio. Per meglio dire, un pregiudizio.

E questo pregiudizio è molto frustrante, soprattutto per il fatto che chi lo esprime soffre talvolta di una totale sordità alla voce di chi invece vuole dare un giudizio avendo un minimo di nozione sull'argomento.

Ho deciso quindi di condividere con voi alcune riflessioni che secondo me possono aiutare ad affrontare questo dibattito così controverso, proponendo delle argomentazioni su cui, personalmente, come giocatore, rifletto da tempo, e che credo possano essere interessanti sia per i videogiocatori sia per chi spesso si mostra ostile nei confronti del mondo videoludico.


Il primo punto che voglio affrontare in questo articolo riguarda un'idea molto diffusa, e cioè che i videogiochi siano un medium infantile. Da sempre si pensa che questo medium sia rivolto principalmente, se non esclusivamente, a un pubblico di bambini, ergo, se superati i 20 anni ancora usi il tuo tempo sui videogiochi sei un bamboccio, un nerd, e così via.

Questa idea in realtà è istituzionalmente sbagliata, perché, se ci facciamo caso, ciascun videogioco reca sulla confezione una classificazione che riporta l'età a partire dalla quale il titolo in questione può essere fruito, la famosa classificazione PEGI. Insomma, se sei più giovane rispetto all'età indicata sulla confezione del gioco, quest'ultimo non fa per te.


È anche vero però, e qui mettiamo le mani avanti, che, come avrete notato dall'immagine qui sopra, in Europa la classificazione PEGI può anche etichettare un gioco perché possa essere utilizzato dai 3 anni in su, e molti potrebbero sostenere che 3 anni siano pochi perché un bambino possa tenere in mano un qualsivoglia controller di gioco. E io vi do' pure ragione! La manualità e l'atteggiamento con cui una persona si dovrebbe avvicinare a un videogioco di qualsiasi tipo fanno parte di una vera e propria educazione fisica, di un vero e proprio bagaglio culturale sensoriale e attitudinale, che in effetti un bambino in sé per sé potrebbe non avere. Voglio dire, quante possibilità ci sono che un bambino possa tenere in mano un controller di gioco, o addirittura uno smartphone, senza danneggiarlo o, peggio ancora, farsi male? Questo fattore potrebbe far riflettere sul fatto che forse, purtroppo, chi assegna la classificazione PEGI cerca in qualche modo di ritagliare al titolo in esame un pubblico più ampio possibile.

Prima di proporre una soluzione a questa problematica, poniamoci una domanda: se dunque videogiocare è una attività non particolarmente adatta per i più piccoli, perché i videogiochi sono considerati un medium infantile?

È verissimo che tanti di noi sono cresciuti con i videogiochi e che, soprattutto inizialmente, questi venivano pensati, sia da chi li creava che da chi li acquistava, per un pubblico giovane. Inoltre, spesso, spessissimo, i videogiochi fanno e hanno fatto perlopiù parte delle infanzie e le adolescenze di ciascuno di noi, che giochiamo o giocavamo insieme a coetanei o comunque a fratelli maggiori o minori, e raramente, diciamolo, i genitori si avvicinano a questo mondo spesso per loro sconosciuto e ostico. E questo è un problema importante dal punto di vista educativo e umano, se ci pensate. Proprio perché il videogioco è un medium tutt'altro che banale, sarebbe bene che i genitori dessero il loro contributo attivo al corretto utilizzo di questa forma di intrattenimento, insegnando loro come usare e come non usare una periferica di gioco, accordando un tempo limite in cui giocare, invitandoli a gestire la loro emotività durante ogni sessione di gioco, aiutandoli a non confondere il gioco con la realtà e a mantenere vivo il contatto con quest'ultima. Nonché, perché no, giocando con i loro figli!

Quello che mi preme sottolineare è che tutte queste regole basilari del videogiocare non sono innate e fanno parte di un percorso se vogliamo formativo, comunque educativo, e, proprio perché tali regole non sono immediate, devono essere mediate, insegnate. Lungi da me dire che il videogioco sia un medium indispensabile, ma così come è importante insegnare a una giovane persona a leggere e a scrivere, allo stesso modo sarebbe bene che questa persona sia accompagnata al corretto utilizzo di questo medium.

Vi propongo infine un video del canale di "Quei due sul server" in merito ai pregiudizi più diffusi su questo argomento e vi passo la palla nei commenti chiedendovi: è davvero legittimo bollare un medium come infantile a prescindere dai suoi contenuti? La funzione di questo medium, notoriamente indirizzata all'intrattenimento, è davvero una ragione sufficiente a giustificare questa etichetta?

Discutiamone nei commenti.

see ya
rising dark sun





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